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Promesse da marinai
Tolta la patina di retorica, tolta la coltre di marketing comunicativo, quel che restano, quando si tratta di aree militari e posti di lavoro, sono le promesse da marinai. Così come secondo l’adagio, una volta salpati, i marinai non sarebbero tornati nei porti dove lasciavano speranzosi amori, così la litania delle assunzioni, associata all’occupazione di spazi militari è una costante che rischia di rimpiazzare certezze scientifiche secolarmente consolidate.
Il caso Arsenale della Marina militare spezzina potrebbe essere un cliché da ricerche universitarie. Da 12.13948 dipendenti civili (1951) a 494 (2022), si passerà prevedibilmente a 295 nel 2024: – 95% in meno di 75 anni. Un record mondiale. Se tre dati sono già impressionanti di per se, rapportandoli ai censimenti demografici assumono tinte drammatiche. L’ex fabbrica passa ad occupare dall’8,5% (1951) allo 0,4% (2022) della popolazione attiva spezzina. Tuttavia il bacino di “utenza” fu, storicamente, ben più ampio, quindi si tratta di cifre che nella realtà sono ben peggiori. Eppure c’è chi, come il direttore dell’Arsenale, il contrammiraglio Giuseppe Scorsone, prima di bandire il dragaggio della darsena interna, vede il futuro blu. A voi l’ambire di ipotizzare le cause questa sorta di daltonismo.
Di fronte a questo disastro qual è la risposta? Dare i numeri. 7 miliardi di qua, 1 miliardo di là. Poi una progressione avveniristica. L’Arsenale che produceva era 1.0? Oggi si propone la versione 5.0, senza che nessuno l’abbia mai vista. Così, nel tempo dell’inganno universale, cifre e promesse (da marinai) lasciano del ricordo che fu la classe operaia spezzina, un foro in una pietra. E da quel pertugio quale orizzonte si traguarda? Si può solo supporre, peraltro senza rischiare di sbagliare di molto. Privatizzare tutto. C’è un piccolo particolare. Privatizzare la Difesa non è come liberalizzare le licenze dei tassisti. Chi produce e per cosa, quando si parla di armamenti, dovrebbe essere un vincolo morale, etico. Oggi quel confine parrebbe ampiamente superato. Repetita iuvant. Se l’88% dei soldi pubblici va in basi militari e solo il 12% va a mantenere le strutture produttive, Houston abbiamo un problema.
Ma non solo di Arsenale si campa alla Spezia. Anzi, dati i numeri di quello ci campano più pochi. Così ecco, con decreto del Ministro della Difesa, adottato di concerto con il Ministro delle imprese e del made in Italy e dell’università e della ricerca scientifica, che come una venere botticelliana emerge dalle acque del golfo il Polo nazionale della subacquea (PNS). Per chi si fosse perso le puntate precedenti, si tratta di una modica spesa: due milioni di euro, a decorrere dall’anno 2023 (art.1, comma 659, della legge n. 197 del 2022), a valere sul fondo per la riallocazione di funzioni svolte presso infrastrutture in uso al Ministero della Difesa, di cui all’art. 619 del Codice dell’Ordinamento Militare.
Nel marzo 2023 ebbi l’ardire di definirlo una struttura che con grande probabilità vedrà l’assunzione di 0 dipendenti, probabilmente andando a caricare il lavoro di quelli che attualmente operano all’interno del Centro di Supporto e Sperimentazione Navale. Cassandra, avrà pensato qualcuno.
Intanto il taglio del nastro del PNS è stato il coronamento di un percorso non privo di perigli. Tutti scansati abilmente, con metodi antichi, ma assai efficaci. Primo, evitare di parlare delle questioni spinose. Secondo, enfatizzare la retorica e le parole altisonanti. Tanto chi va a controllare? In un paese in cui vota meno di un elettore su due, il giochetto funziona. Eppure giace ancora nei cassetti del Senato un’interrogazione parlamentare della solerte Stefania Pucciarelli. Ma la risposta, parrebbe sia uno degli scopi del PNS, nella sua ricerca subacquea.
Promesse per promesse, al di là degli adagi marinareschi, si sa, i nodi vengono al pettine. Ma abbiate ancora pazienza. Come per le sirene arsenalizie, che annunciano posti di lavoro ma nel concreto si vede solo diminuire gli organici e svuotare le officine, così anche per i corollari militari la solfa non cambia. Anche per il PNS sono spuntate echi occupazionali. Stante le fonti, si parla già di una capacità operativa di 70 persone. Bando ai bandi direte voi, miei piccoli lettori.
Ed invece no. L’interrogativo sui posti di lavoro annunciati e mai visti non è solo una paturnia di qualche facinoroso, ma assume i toni della denuncia. Come quella del sindacato FLP Difesa, che per bocca del suo segretario, non le manda a dire. Parrebbe che gli organici tabellari del PNS, fiore all’occhiello della propaganda, siano stati sottratti al CSSN che, stante i dati al 2016, censiva 306 dipendenti civili. Probabilmente perché è più facile far scende le scale dei piani dello stabile piuttosto che bandire un concorso? Non è dato saperlo. Il fatto che all’inaugurazione del PNS non vi fosse traccia dei sindacati (parrebbe non invitati) doveva dare già un’avvisaglia sull’andazzo.
In un momento in cui la mobilità interna è bloccata, chiediamo quale strumento contrattuale abbia consentito di impiegare personale civile del CSSN per soddisfare esigenze del Polo nazionale della subacquea.
Christian Palladino, segretario FLP Difesa
(11 dicembre 2024)
La questione apparirebbe seria assai. Da un lato una struttura pubblica, dipendente dal ministero della Difesa, il Centro di Supporto e Sperimentazione Navale. Dall’altro un’entità ibrida, in cui aziende private entrano a far parte in un partenariato. Qualcuno potrebbe obiettare che sia questione di lana caprina, ma se si avesse un minimo di dimestichezza con l’organizzazione del lavoro le cose apparirebbero chiaramente complicate. Chi fa che cosa, per chi e per che cosa? Ai posteri l’ardua sentenza.
Non a caso esplode la questione “sicurezza”, con le dimissioni dei rappresentanti per la sicurezza (RLS) dei dipendenti civili dell’ente CSSN. Motivo? Semplice. Nonostante segnalazioni redazioni di valutazioni di rischi, DPI, procedure, ecc., il datore di lavoro non risponde. Scusate, messa così potrebbe risultare un po’ anonima. L’ammiraglio ispettore Cristiano Nervi (comandante del CSSN ed ivi datore di lavoro) non sembrerebbe sentirci. Anzi, sembrerebbe che al CSSN la sicurezza nel luogo di lavoro sia una relazione strettamente legata tra il comando (Nervi, per l’appunto) e responsabile del servizio di prevenzione e protezione (gerarchicamente suo sottoposto), il che potrebbe apparire come un’interpretazione inconsueta del Testo unico per la sicurezza sul lavoro.
Quisquilie, dirà certamente qualcuno. Pinzillacchere. Nel tempo del mondo al contrario, si badi alla sostanza e non si faccia della filosofia. Tuttavia, nella speranza e nel sincero augurio che non accada mai nulla in tema di incidenti, nel qual caso, c’è chi qualche domanda indiscreta se l’è posta per tempo, ancor prima che, malauguratamente, la questione si risolva con il più classico del “responsabilità del macchinista”. Ma come rispose quel tale, non solo le domande indiscrete, le risposte possono esserlo, a volte.
Vale la pena, dato il contesto non propriamente edificante, darne voce, perché quel che occorre, in primis, è maturare, perdonate il termine, una coscienza. Da basi fintamente sostenibile e dipinte falsamente di blu a Poli artatamente d’eccellenza creati sulla pelle dei lavoratori, il campo dell’ipocrisia apparirebbe in un quadro disarmante. Da un lato fiumi di denaro pubblico vengono erogati, impegnati, spesi e rendicontati in modo algebrico. Dall’altro la costruzione dell’unico ricatto rimasto in piedi, quello occupazionale, per occupare spazi sottratti alle comunità da secoli, vacilla anche sotto il profilo del diritto.
Dunque scripta manent. Utile per qualche folle visionario che proponga un percorso di riconversione. Oppure di riutilizzo di immensi spazi inutilizzati, ma, sempre bene ricordarlo previa bonifica. Già perché nella narrazione fantasiosa che viene data, nel marketing comunicativo delle forze armate, la sostenibilità, per esempio, non menziona l’inquinamento e le contaminazioni generate dalle attività sul territorio. Per cui, se non vogliamo un mondo al contrario, il buon senso imporrebbe che chi sporca pulisce e chi inquina bonifica.
L’Arsenale 5.0 attende. Il PNS diviene un incubatore. Di che? Forse di dividenti. I soldi li spende lo Stato, i benefici li raccoglie il privato. O se volete i fondi di investimento con sedi lontane dai confini e dalle coste patrie, in un curioso, o paradossale, destino dei sovranisti de noartri.
La inaugurazione del Polo nazionale della subacquea è il primo passo di un viaggio lungo ed affascinante. […] Servono un piano strategico, nuove ho norme e un tavolo tecnico-politico al quale i vari attori possano confrontarsi. Ed è il Comitato interministeriale per le Politiche del mare, che ho già convocato per il 19 dicembre. La strada è tracciata dal Piano nazionale del mare, che per la prima volta il governo ha voluto mettere a punto come guida strategica. Tutti ai remi, dunque.
Nello Musumeci, ministro per le Politiche del mare
(12 dicembre 2023)