Facevo solo politica
Quando si dice che la toppa è peggio dello strappo, il pensiero va al presidente (sospeso) della regione Liguria, il quale rende nota la sua linea difensiva: facevo solo politica. Cosa s’intenda per politica è quindi tema di grande discussione, evidentemente non scevra di una qualche soggettiva interpretazione.
Siamo tutti garantisti, soprattutto nei confronti di potenti che, nell’esercizio delle loro funzioni, interpretano il potere con un’assolutismo restaurativo da far impallidire il principe di Metternich. Guai a voi, popolo bove, incolto, con le pezze al culo, a metter in discussione il garantismo fino al terzo grado di giudizio. Una litania che, per l’appunto, va bene per i potenti detentori del potere, anche quando questo è elargito da una sempre minore quota di popolo. Lasciamo andare che il garantismo scompaia quando si tratta di povera gente che occupa una casa perché non ha un tetto dove andare, o altre situazioni in cui il “reato” è la conseguenza di una colpa: la povertà.
Dal 7 maggio 2024 l’ex presidente della giunta ligure è confinato nel suo angusta dimora amegliese. Dopo meno di 20 giorni, convocato dai magistrati, Toti parlò ed il verbo che fu. Facevo solo politica. Su questo val la pena fermarsi, ordinare da bere e riflettere. Tanto paga Sior Aldo. Tema della discussione, il fare, solo, politica nei ridenti anni ’20 del secondo millennio, dopo la venuta di Cristo.
Svolgimento.
Qualcuno può pensare che sia clausole di stile. Qualcun altro potrebbe pensare che ci sia un’estetica che ha a che fare con l’etica. Possibile. Ma rimanendo ai fatti, il giudizio di valore che si dovrebbe esprimere è su un rappresentante delle pubbliche istituzioni, democraticamente eletto, che si reca su uno yacht privato, il cui proprietario è un concessionario di aree pubbliche, la cui concessione è transitabile dall’esercizio di funzione dell’eletto. E’ reato? Ecco il garantismo. Questa è questione che riguarda la magistratura. Il punto è che questo atteggiamento è il tradimento di un mandato costituzionale di esercitare con onore e dignità la carica che discende dalla volontà popolare e dalla sua espressione di voto.
Il quadro svilente che emerge, di giorno in giorno, di intercettazione in intercettazione, di dichiarazione in confessione è nauseabondo. Un tanfo maleodorante e marcescente, un putridume che probabilmente sarà difficile da scrostare dalle pareti delle nostre istituzioni, forse perché talvolta sono trasferite a bordo di qualche yacht, come ufficio.
Ogni euro incassato ha avuto una destinazione politica. Nessun contributo ha prodotto arricchimento o utilità personale per me, agli altri appartenenti al mio partito o a terzi privati.
Giovanni Toti
(23 maggio 2024)
Parafrasando il suo mentore, sembra che Toti faccia un uso “criminoso” del termine politica. Il paradosso è quasi da banalità del male. Così, per noi poracci che guardiamo con invidia e l’acrimonia di una desueta quanto rattrappita visione classista e proletaria, non comprendiamo come i luoghi della politica, non siano più stanze ingiallite da tonnellate di nicotina, non siano più circoli di ritrovo di uomini e donne appassionati da valori e principi. Non sono più nemmeno le parrocchie, i dopolavoro, figurarsi le sezioni di partito. Fare solo politica occorre un Sanlorenzo, un Riva, un Mariotti da almeno 30 metri, con interior design made in Italy.
Potete figurarvi lo stupore di chi, al massimo, sale su qualche lancetta o gozzo di amici, con la propria famiglia, per andare a fare un tuffo, di tanto in tanto, in quella Palmaria che, chi fa solo politica, voleva vendere al miglior acquirente. Ora non solo possiamo dire, ma avremmo tutto il diritto di annunciare, quando suoneremo il campanello per farci aprire dalla Marina militare, per raggiungere il gozzetto tramandato dagli avi ai posteri in segno di discendenza di gente di mare: andiamo a fare solo politica.
Ma dal faceto al serio, la Liguria si conferma un laboratorio. Solo che la politica, nella sua accezione etimologica a poco a che fare. Repetita iuvant: nessuno non poteva sapere, salvo chi beneficiava o chi, peggio ancora, per ignavia si voltava dall’altra parte. Potere, denaro. Denaro e potere. La stessa definizione di democrazia, diventa un esercizio di retorica che fa tremare i polsi. La capacità di catalizzare denaro genera maggiori possibilità di rappresentare? Se questa è democrazia, allora val la pena riformulare il secondo comma dell’art.1 della Costituzione. La sovranità appartiene al denaro, che la esercita nelle forme e nei contributi ricevuti.
Qualche domanda occorre porsela. Da Toti a tutti coloro i quali hanno beneficiato dei suoi fondi, regolarmente registrati e diffusi ai suoi amici in tutta la Liguria. Per esempio, Pierluigi Peracchini, attuale sindaco della Spezia, beneficiò di un contributo di 5.000 euro da parte del movimento politico “Giovanni Toti Liguria” e un altro di 60.285,01 euro da parte del “Comitato Change” del Presidente della Regione Liguria.
Dunque Toti faceva solo politica? Eppure di politica parrebbe vederne ben poca. A meno che non intenda quella che privatizza e priva di ogni forma di universalismo, servizi essenziali come la sanità. O quella che strangola, accorpando, istituti scolastici che cadono a pezzi. Oppure quella che piange lacrime di coccodrillo ad ogni alluvione, sostituendo prevenzione e cura con strutture (talvolta clientelari, ma siamo garantisti) di protezione civile. Ma queste, direte voi, sono opinioni da bolscevichi.
In realtà la sanità ligure è un’eccellenza. Le scuole liguri sono il fiore all’occhiello. Il territorio ligure, al netto dei tappeti rossi messi per coreografia, è solido, prolifico e conta miliardi di turisti all’anno. Non è l’impressione che si ha percorrendo strade divelte e continuamente interrotte da frane ed alluvioni, o parlando con l’esaurimento di infermieri, medici e tutti gli angeli del Covid, tanto per intenderci, poi tornati negli inferi dei loro reparti. Oppure con lo sfinimento di dirigenti scolastici ed insegnanti. E se non vi basta, andate a chiederlo a chi si è battuto per tutelare patrimoni dell’umanità.
Toti, faceva solo politica. Ma un dubbio mi assale. E ve lo confesso, il paragone con una nota pietra miliare del cinema è fortissimo. Perché se Toti facesse solo politica, per la povera Melisenda Mascetti, abusata dal sottocuoco Giovannone, non si trattò di uno stupro. Sparecchiava. Forse anche Toti, sparecchiava. Ma non lasciamoci trascinare da facilonerie.
Tra un’opinione e l’altra, la realtà continua a marciare. A puntare il dito nella piaga ci pensa un’interrogazione parlamentare (3/01218), tanto puntuale quanto dolente. L’interrogante Andrea Orlando non solleva una questioncina, ma scopre realmente la ferita purulente e le sue contraddizioni. Perché la nomina della presidenza dell’Autorità portuale di Genova, sede vacante, ha un problema non da poco. La terna di nomi deve vedere, tra i suoi propositori, il presidente della regione. Peccato che è ai domiciliari. Allora la risposta del ministro, scusate il termine, competente, appare come una performance da stand-up comedy.
L’avvio delle procedure di selezione del presidente dell’Autorità di sistema portuale rappresenta un’assoluta priorità per il Ministero. A tal fine confermo che sarà pubblicato a breve un interpello per la copertura delle posizioni di presidente. […] All’esito dell’espletamento di tale procedura, sarà necessario valutare, in base alle condizioni di operatività della giunta regionale ligure e alle disposizioni statutarie che regolano l’esercizio delle funzioni di presidente in caso di impedimento del medesimo, se vi siano soggetti legittimati a esprimere l’intesa per la nomina. In ogni caso, una valutazione di opportunità induce ad auspicare che il futuro presidente dell’Autorità di sistema portuale sia nominato previa intesa con un rappresentante della regione Liguria, nel pieno esercizio delle proprie funzioni.
Matteo Salvini
ministro delle infrastrutture
(22 maggio 2024)
Replica.
Il suo Vice (il sottosegretario leghista Rixi, nda) ha detto che la regione non è in grado di dare il concerto. Ma, in ragione del fatto che bisogna andare avanti con le opere, voi continuate a dire che in regione non si devono dare le dimissioni. Mettetevi d’accordo tra di voi. Confessate che non ci può essere un’attività ordinaria della regione, ma la tenete in ostaggio.
on. Andrea Orlando
(22 maggio 2024)
Quindi, lasciamo da parte i problemi contingenti della Liguria. Sarà il tempo, o meglio, la volontà del feudatario che scioglierà le riserve su eventuali sue dimissioni. In attesa, ritorniamo ai nostri massimi sistemi. Non tanto per un esercizio di stile, ma per cercare di comprendere ciò che avviene.
Un tempo, non troppo lontano, il processo corruttivo nasceva dall’occupazione dei partiti nei luoghi di decisione. Una litania che fu pietra miliare in una Politica che fu. Ma oggi, al netto delle verità giudiziarie, il mal costume che emerge non è rapportabile all’occupazione del potere da parte di organizzazioni che non esistono più, ma da un “sistema feudale”, sancito a norma dei legge. Le camere parlamentari ratificano decretazioni d’urgenza utilizzate come atto costitutivo. I consigli regionali sono luoghi di presa d’atto delle scelte, insindacabili ed inemendabili, della giunta. Quelli comunali anche peggio.
Le regioni, per esempio, nacquero come luoghi di programmazione e non di spesa. Parrebbe che nemmeno il fallimento alla prova Covid abbia sollecitato le coscienze sul crollo di questo modello. Un crollo che non investe mai i responsabili, ma chi ne subisce gli effetti. Le riforme che hanno strutturato la nostra “democrazia”, sono giganti di argilla, sigillate da un’astensione elettorale sempre più crescente. Come se non bastasse, l’asse istituzionale si è spostato dalla rappresentanza ed il controllo d’indirizzo al governo ed alla spesa. Un modello che, alla prova dei fatti, ha fallito totalmente. Ci siamo già dimenticati che, il dibattito “politico” era imperniato sulla necessità di far fare il terzo mandato, che qualcuno ha già battezzato, di cattura. Pare che, nonostante tutto, le sirene dell’uomo (o della donna) sola al comando, continuino a cantare i loro richiami. Potere e denaro.
Allora riavvolgiamo il nastro. Portiamo le lancette indietro di 40 anni. Perché da allora è cambiato il contesto, ma la prassi è sempre quella, senza attribuire proprietà divinatorie ad esseri umani, certamente dotati di grande intelligenza, ma pur sempre umani. Varrebbe la pena di farsi qualche domanda e tentare di proporre anche qualche risposta?
Non voglio dar giudizi e mettere il piede in casa altrui, ma i fatti ci sono e sono sotto gli occhi di tutti. I partiti di oggi sono soprattutto macchine di potere e di clientela: scarsa o mistificata conoscenza della vita e dei problemi della società e della gente, idee, ideali, programmi pochi o vaghi, sentimenti e passione civile, zero. Gestiscono interessi, i più disparati, i più contraddittori, talvolta anche loschi, comunque senza alcun rapporto con le esigenze e i bisogni umani emergenti, oppure distorcendoli, senza perseguire il bene comune. La loro stessa struttura organizzativa si è ormai conformata su questo modello, e non sono più organizzatori del popolo, formazioni che ne promuovono la maturazione civile e l’iniziativa: sono piuttosto federazioni di correnti, di camarille, ciascuna con un “boss” e dei “sotto-boss”. La carta geopolitica dei partiti è fatta di nomi e di luoghi.
on. Enrico Berlinguer
(28 luglio 1981)
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