Opinioni
William Domenichini  

Scrutando il mondo al contrario

Ho impiegato molto tempo prima di rendermi conto che valesse la pena ragionare, scrutando il mondo al contrario. Il generale Roberto Vannacci non poteva scegliere titolo più azzeccato, per il suo sforzo saggistico. Oltre 300 pagine per descrivere quello che ritiene un mondo capovolto, con un punto di vista che si scopre fin da subito. Tra miopie, superficiale, condite con abbondante banalità, tutto è legato da un filo conduttore assai preoccupate: l’allergia alla democrazia.

Iniziamo dai fondamentali. L’avete letto? Con un po’ di coraggio ho intrapreso questo viaggio nell’abisso, con la cortezza di non scrutare a lungo quel baratro. Flashforward: in relazione alla caciara che ha provocato, leggendolo,  c’è un pensiero che mi ha seguito, di pagina in pagina. Pensate realmente che la gravità del mondo al contrario sia l’omofobia? Se il nostro metro fosse quello del generale, ossia il buonsenso (quello con la B), omofobia, sessismo, razzismo sarebbero a pieno titolo elementi allarmanti. Ma c’è una traccia più preoccupante: l’odio per ogni forma di pensiero critico, una sorta di allergia alla democrazia.

Qualcuno ha sottolineato che il generale ha ben tre lauree. Se di Buonsenso si trattasse, ci toccherebbe riflettere su come si raggiungono lauree e master  in una carriera militare, magari nell’ateneo di Bucarest. Da un lembo di Liguria, al bar, qualche padre sconcertato per gli esiti di tanti sforzi economici per far studiare la prole direbbe più laconicamente: “bele le me palanche“. Ora, senza squalificare più dell’opera vannaciana i titoli accademici, passiamo avanti. Leggendo le 353 pagina, senza alcuna bibliografia, con all’incirca una novantina di note, qualche dubbio mi è sorto. Chi abbia l’ambizione di descrivere, legittimamente, della propria visione di società, dovrebbe avere la cura di sostenere le proprie tesi con dati e studi accertati.

Così, tra una pagina e l’altra, il pensiero non ero solo come lettore, ma anche come scrittore. Scrivere un ebook che criticasse Basi blu e ne proponesse l’alternativa, per smontare la follia di spendere 384 milioni di euro solo per adeguare la base spezzina agli standard NATO, è costato la ricerca di oltre 200 note bibliografiche. C’è chi per raccontare un fatto, ed esprimerne una valutazione, si basa su fonti e ricerca, chi invece ritiene che il suo pensiero sia la fonte. Certamente il generale appartiene a questa seconda categoria, assai comune ormai. Tuttavia se la banalizzazione di elementi complessi non desta meraviglia, in chi ha responsabilità del proprio agire decisamente inferiore ad un generale di divisione, qualche dubbio dovrebbe venirci se l’esercizio banalizzante è strutturato da chi ha avuto ruoli di rilevanti comandi militari.

Come quelli che incontriamo al bar, che non sanno nulla ma di tutto, o quelli che vivono sui social, che prendono lauree su Google a ripetizione. Pazienza se non c’è fonte o se sono limitate alla costruzione di una tesi specifica. Buonsenso, ambientalismo, energia, società multiculturale e multietnica, sicurezza e legittima difesa, casa, famiglia Patria, lgbtq, tasse, città, animalismo. Vannucci è un fiume di banalità e di luoghi comuni devastanti. Se non fossero stati scritti da un generale di divisione verrebbe il dubbio che li avesse scritti Salvini. Non è un riferimento ne casuale ne politicista, ma antropologico ed (a)culturale. Sono convinto che Salvini riuscirà a finirlo di leggere, ma potrebbe esser tentato di rivendicare i diritti d’autore.

Ogni argomentazione del “mondo al contrario” sembra tesa ad un unico scopo, in un metodo narrativo che salta, da palo in frasca, da un luogo comune all’altro: smontare ogni forma di critica di pensiero e ridicolizzare ogni azione critica di contestazione di un modello sociale ed economico, ogni forma di emancipazione. Tutto ciò che pone un’alternativa ad un sistema che sfrutta natura ed esseri umani, magari per la logica del profitto, è deriso, minimizzato, demonizzato. In una sorta di cinismo prêt-à-porter, i poveri devono vergognarsi di essere poveri, la povertà uno status indotto da chi la vive, nella misura in cui non si ha le capacità di emanciparsene individualmente. Quale sfruttamento? Non esiste. Esisterebbe semmai l’incapacità di fare leva sulle proprie forze per determinare il proprio destino. Un pensiero di una semplicità tale che farebbe impallidire anche un ragazzo della primaria, ma che ha l’ambizione di essere idea-forza.

Prendiamo ad esempio la crociata antiambientalista. Tralasciando le mire evoluzionistiche, il primo obiettivo è di screditare chiunque abbia il torto di dedicare tempo a battaglie di civiltà, come i cambiamenti climatici causati dall’uomo. Tra un’analisi climatologica a curiose teorie urbanistiche, tra tesi nucleariste e certezze idrogeologiche, si scorge un convitato di pietra. Nel consueto melange di luoghi comuni e banalità, non si trova un rigo o un accenno, all’impatto delle attività militari sulla salubrità del nostro ambiente. Eppure c”è chi ne scrive, non per self-publishing ma per dovere. Come ho raccontato tempo addietro, si tratta della Corte dei conti, che fa disamine più di Buonsenso del generale Vannacci. Un fatto curioso, soprattutto per chi, nella tempesta delle polemiche, ha ipotizzato che la rimozione di Vannacci, dallo strategico incarico di comandante dell’Istituto geografico militare, fosse attribuibile alle scomoda battaglia contro l’uso dell’uranio impoverito.

Quel che preoccupa, del polverone scaturito, sono vari aspetti. Strano caso del destino, il vicesindaco del comune di Portovenere, territorio dove sorge il balipedio Cottrau, non tarda a prendere le difese del saggista con le stellette. Parrebbe tuttavia che il vicario del primo cittadino ignori lo stato di inquinamento di una porzione del suo territorio, salvo interessarsi delle polemiche sul libro. Un caso, non isolato, inutile per comprendere il principio secondo il quale “i cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore“.

C’è poi la vexata questio che zittirebbe tutti i critici. Il generale ha ben diritto a dire quello che pensa? Certo che ne ha, così come noi abbiamo il diritto a mettere a nudo le sue banalità, quelle che vanno ad incrinare il patto civile che sta alle fondamenta di una società democratica. Perché sarebbe utile ricordarsi che gli orrori non li compiono le menti deviate, i lombrosiani, i geni del male, ma chi del male ne incarna la banalità. E allora vai con la solfa dell’art.21 della Costituzione della Repubblica italiana, come se prima di quell’articolo non ve ne siano altri 20, tra cui l’art.3 e dopo non ve ne siano altri 118, tra cui l’art. 54, e 18 disposizioni finali.

Molti si sono chiesti perché. E se ci domandassimo per chi? Risulta difficile pensare che, un personaggio di rilevo della struttura dello Stato, esprima una visione così chiaramente antidemocratica, da esser fine a se stessa. Il mondo al contrario è proprio quello che emerge tra le righe. Quello senza diritti, basato sulla prevaricazione e sulla dittatura del mors tua, vita mea. O se preferite, quello intriso di quell’ipocrisia di chi sta sempre dalla parte della “ragione” e mai del torto. Ma citazione per citazione, parafraso: io mi siedo dalla parte del torto, perché gli altri posti sono occupati.

Non possiamo certo voltarci dall’altra parte, di fronte alla banalità del male o alle profondità dell’abisso in cui viviamo. Ricordiamoci di non fissarlo a lungo.

il sonno della ragione genera mondi al contrario

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L'ultimo arrivato!

Questo bellissimo saggio ci racconta come la cultura di guerra e di morte genera gli stessi mostri in tutto il Paese: pessimismo, obbedienza, passività, senso di sconfitta, conformismo, opportunismo, clientelismo. Figli di un dio minore, vittime e colpevoli allo stesso tempo dei propri mali. Politici e rappresentanti istituzionali fotocopia. Iene e sciacalli ai banchetti delle opere pubbliche e gattopardi perché cambi tutto purché non cambi nulla.

Lo scenario che ci delinea e ci offre queste pagine che seguiranno è certamente doloroso, tragico, inquietante, ma in questo suo coraggioso e generoso atto di denuncia traspare sempre lo smisurato amore per La Spezia, per il suo Golfo, il suo Mare. Pagine e immagini che feriscono il cuore ma in cui respiriamo ancora speranza ed utopia. Che un’altra città sia davvero ancora possibile, viva, libera, aperta, felice. Un laboratorio di Pace.

Antonio Mazzeo

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