Chi tocca Caio tocca tutti
Opinioni
William Domenichini  

Chi tocca Tizio tocca tutti

Questa non è una storia come molte che ho raccontato, ma quella di una piccola comunità in cui si prende coscienza che chi tocca Tizio, tocca tutti. Questa è una storia in cui occorrerebbe fare tante premesse, per calarsi in una delle tante dimensioni dell’animo umano. Ma la prima è quasi un’avvertenza. Se inizialmente lacererà l’animo, in fondo emergerà una speranza, quella di costruire un mondo migliore, a cominciare dalle piccole realtà quotidiane che viviamo.

Che differenza c’è, per esempio, tra un padre o una madre adottiv* e quelli biologici, generatori di prole? Possiamo, e talvolta dovremmo, scomodare testi, studi, scienze. Ma la domanda che ci poniamo non è didascalica, o cattedratica. É umana. Dunque umanamente penso che non vi sia nessuna differenza. Entrambi sono genitori, ossia adulti che dedicano amore, cura, attenzione ad un bambin*, consapevoli di esserne un punto di riferimento: per il gioco, l’apprendimento, l’educazione, la sua salute.

Per tentare di dipanare i conflitti interiori, per crescere insieme negli errori che si commettono, utilizzandoli come elementi di progresso, appunto, di crescita. Nel mondo di un cucciolo che sugge e di adulti che trasmettono esperienza, occorre capire i nostri errori e non limitarsi a giudicarli per emettere una sentenza. Ritenere che un capriccio sia un modo di comunicare un disagio o chiudere ogni insistenza con “fai così, perché io sono tuo padre“, ma  piuttosto ascoltare i suoi bisogni e tentare di darne risposte percepibili, se non addirittura condivise.

Repetita iuvant. Cosa determina essere padre, madre, insomma genitore? Generare un figlio o prendersene cura dal momento in cui lo si “incontra” per la prima volta? Se non utilizziamo un paraocchi al piombo, certamente una non esclude l’altra.

Dunque arriviamo alla nostra storia, la storia di un bambino, Tizio. Il destino di Tizio è stato di nascere in un contesto in cui non avrebbe avuto il diritto alla felicità e l’adozione fu la strada più umana possibile per avere la possibilità di affrontare i suoi problemi di salute, le sue fragilità di bambino, la vita ed andarci incontro con due persone che ne avrebbero preso cura. Così una vera madre, ed un padre altrettanto, accolgono Tizio tra le loro braccia, non come se fosse il loro figlio ma come loro figlio, facendosi carico di tutte le sue fragilità, portandole con loro ogni istante della loro vita e cercando di dare il loro contributo alla sua serenità, ogni giorno.

Accade che, in una piccola comunità, Tizio viene definito adottato e, secondo questo stigma, avrebbe una mamma finta, subentrata a quella vera. Un tale pensiero è già raggelante di per se. La necessità di porre un’etichetta a tutto, con l’aggravante che questa sia alla stregua di una lettera scarlatta. Sta di fatto che qualcuno, con la superficialità che contraddistingue questo nostro drammatica ed individualistica società, si prenda la briga di definire questi genitori, finti, perché non naturali. Capita, evidentemente, perché l’ignoranza è un elemento che spesso accompagna la disumanità, anche se questa è inconsapevole. Chiunque può sbagliare, esprimersi in modo inopportuno, o semplicemente dire una sciocchezza, anche se molto grave. Ciò nonostante, spesso la convinzione delle proprie sciocchezze porta al crederle inappuntabili.

Così se qualcuno spiega allo sciocco che si è espresso in un modo inopportuno, se vogliamo essere lievi, disumano se vogliamo essere più realisti, lo sciocco si offenda ed inizi a intraprendere delle azioni che, neanche farlo apposta, continuano a danneggiare Tizio. Non in modo diretto, ma coinvolgendo altri bambini e portandone all’emarginazione. Escludere Tizio per escludere i veri genitori che si sono, giustamente, ribellati a questo stigma nei confronti del vero figlio, che ne è causa di profondo disagio, di una discriminazione che un bambino sa cogliere e ferire molto più di qualunque adulto, che ha il sapore stomachevole dell’apartheid.

Repetita iuvant. Tizio ha, come tanti altri bambin*, due genitori, diversi da chi l’ha generato, ma che sono tali. Veri. Ma quel che è più importante è che Tizio, in quanto essere umano, ha il diritto di essere felice, a prescindere dalla storia che gli sta alle spalle. Come chiunque, ma a maggior ragione in quanto bambino. Ancora più semplicemente, Tizio avrebbe diritto ad essere un bambino felice proprio per la storia che ha alle spalle, che come spesso accade in percorsi adottivi, tutto è men che semplice o priva di traumi e di difficoltà. Quest’ultima riflessione può sembrare scontata e porta con se un tratto labilmente pericoloso. Tizio non è speciale, quindi non deve avere un trattamento speciale. Tizio ha diritto, come tutti, ad essere tutelato, rispettato, amato, come chiunque.

É difficile esprimere il senso di disagio, di disappunto, financo di dolore che si prova ad ascoltare la voce due veri genitori, pronti a difendere con tutto il loro amore, il benessere e l’equilibrio del proprio figlio, vero. Se, fino ad ora, non sono stato in grado di renderlo, perdonatemi, dovete credermi sulla parola. Sta di fatto che questa storia, brutta, anzi orribile, non finisce qui. Posso però anticiparvi che alla brutalità dell’ignoranza, talvolta si contrappone la meraviglia dell’umanità.

C’è un luogo in cui, paradossalmente per fortuna, questa discriminazione si è palesata. La scuola. In questo contesto, grazie a due insegnanti, che non sono ne brave ne cattive ma semplicemente  umane, è stato messo il primo ostacolo all’ignoranza ed alla cattiveria che ne genera, cercando di superare pregiudizi con l’inclusione, il gioco, la condivisione. Tuttavia un’istituzione come la Scuola non può essere sostitutiva di tutto ciò che vi satellita intorno. Non può, per esempio, surrogare o dirimere la costruzione di relazioni sociali, men che meno quelle tra adulti, talvolta non proprio veri ma presunti, visti i comportamenti.

Tuttavia i veri genitori hanno voluto condividere con altri genitori questa vicenda, con la necessità di rendere consapevoli che il loro problema, ma soprattutto quello del loro vero figlio, fosse un tema di relazioni e non di individui. Un tentativo, inusuale visti i tempi che viviamo, di capire quale soluzione fosse possibile, senza dare giudizi o emettere sentenze, nonostante ne avessero tutto il diritto e vi fossero tutte le condizioni per farlo. Un percorso di una dignità e di uno spessore che raramente ho vissuto in vita mia, un esempio reale di cosa significhi essere genitore, veri, che per il bene del figlio prendono in considerazione anche l’extrema ratio: il prossimo anno, Tizio, potrebbe cambiare scuola.

I genitori che si sono riuniti, di fronte a questa storia, di fronte ad un vero e proprio tsunami di emozioni, hanno percepito una cosa molto semplice: chi tocca Tizio, tocca tutti. Voci rotte dalla commozione, talvolta vibranti di rabbia per un’ingiustizia che ha subito un cucciolo innocente, sono state la risposta più umana che potesse emergere. Banale direte voi, miei pochi lettori. No, non di questi tempi. Più forte di mille volumi di pedagogia, più dirompente di mille sedute psicanalitiche, più travolgente di mille seminari educativi e formativi.

Mentre ascoltavo le parole di altri genitori, mentre io stesso esprimevo la mia vicinanza e cercavo di proporre delle iniziative da intraprendere, il mio pensiero costante era che in quel momento c’era una comunità che stava difendendo se stessa, perché Tizio è parte di essa, una delle sue parti più vulnerabili. Non solo ne è parte, ma in quanto bambino ne è il futuro. Così se Tizio abbandonasse la scuola, il prossimo sarebbe Caio, e poi Sempronio, e via discorrendo, senza fine, anzi lasciando il campo all’ignoranza e all’ingiustizia. Dunque la risposta, collettiva, è stata che occorre prenderci cura della nostra comunità, ed insieme renderla inclusiva realmente, umana, attraverso pratiche periodiche, organizzarsi in momenti di gioco, di relazione, di crescita e quindi di inclusione.

Chi tocca Tizio , tocca tutti. Se i veri genitori di Tizio non cambieranno scuola, perché la sua comunità dimostrerà di prendersi curo di chiunque, allora l’umanità supererà la freddezza di una chat, la pochezza di “comari di un paesino che non brillano certo in iniziativa” e dell’ignoranza. La loro valutazione, legittima, anzi sacrosanta, di compiere un percorso diverso per il loro vero figlio, significherebbe che una comunità ha perso in favore dell’indifferenza e che dopo Tizio, chiunque sarà vulnerabile. Val la pena, dunque, esprimere energie ed impegno per far si che ciò non avvenga. Perché chi tocca Tizio, tocca tutti.

Qualcuno non sarà interessato a ciò che mi ha lasciato questa esperienza. Ma siccome il blog è mio, ve la dico lo stesso. L’incontro tra i genitori ha suscitato molte riflessioni. La prima, forse banale, è che come in tanti aspetti che ho affrontato, siamo ancora in una fase pre-visione, dove l’elemento mancante è quello della civiltà. Ma nel contempo sono emersi due dei grandi insegnamenti della mia vita che, seppur folte schiere tentino di stigmatizzarle come utopie irraggiungibili, in questi momenti assumono i toni di granitiche certezze. “Dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fiori” e soprattutto “ho imparato che il problema degli altri è uguale al mio. Sortirne insieme è politica, sortirne da soli è avarizia“.

Se preferite (e Don Milani mi perdonerà se uso la sfrontatezza di emendarlo) egoismo.

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L'ultimo arrivato!

Questo bellissimo saggio ci racconta come la cultura di guerra e di morte genera gli stessi mostri in tutto il Paese: pessimismo, obbedienza, passività, senso di sconfitta, conformismo, opportunismo, clientelismo. Figli di un dio minore, vittime e colpevoli allo stesso tempo dei propri mali. Politici e rappresentanti istituzionali fotocopia. Iene e sciacalli ai banchetti delle opere pubbliche e gattopardi perché cambi tutto purché non cambi nulla.

Lo scenario che ci delinea e ci offre queste pagine che seguiranno è certamente doloroso, tragico, inquietante, ma in questo suo coraggioso e generoso atto di denuncia traspare sempre lo smisurato amore per La Spezia, per il suo Golfo, il suo Mare. Pagine e immagini che feriscono il cuore ma in cui respiriamo ancora speranza ed utopia. Che un’altra città sia davvero ancora possibile, viva, libera, aperta, felice. Un laboratorio di Pace.

Antonio Mazzeo

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