Se la città venisse a sapere
Se la città venisse a sapere, se la comunità e l’opinione pubblica spezzina sapessero che l’Arsenale della Marina militare alla Spezia è ormai un cumulo di edifici fatiscenti e di nocività, cosa accadrebbe? Fino a pochi anni fa nessuno si sarebbe sognato di chiedere conto delle (non)attività arsenalizie. Quando era una delle principali attività del territorio quei pochi, che alzavano la voce per chiedere di porre rimedio alle criticità, venivano bacchettati a dovere. Oggi la realtà è talmente grave, tanto sotto il profilo occupazionale quanto quello ambientale, che le difese d’ufficio sono più penose dello stato reale delle cose.
Ormai si sta diffondendo una vaga coscienza che oltre il muro arsenalizio ci sia assai poco, di utile alla comunità. Allora occorre intensificare narrazioni devianti. Non basta distorcere la storia spezzina, con il leitmotiv che quel borgo malsano fu eretto a rango di città moderna grazie all’intervento militare, a cui dovremmo esser tutti gradi ab aeterno. Oggi, che quella favola non sta più in piedi, ed eppur riconoscendo il valore sociale ed economico delle attività dell’Arsenale, è difficile nascondersi dietro ad un dito di fronte all’impietosa e sterline narrazione dei numeri e dei fatti. Allora si tenta di minimizzare, tuttavia l’evidenza di certe questione porta ad avvedersi che, ormai, il re è nudo.
Se è vero che due indizi fanno una prova, la questione si fa assai seria. Prima l’attuale direttore dell’Arsenale, contrammiraglio Scorsone, chiamato in causa rispetto alla chiusura totale in fatto di cessione di aree inutilizzate, per porre rimedio agli strafalcioni resi pubblici ha tentato di metter una toppa ben peggiore dello strappo. Un’arrampicata sugli specchi, nel tentativo di sostenere tesi che hanno ben poca attinenza con la scienza, men che meno con la realtà dei fatti.
Poi tocca all’ex direttore del Museo Tecnico Navale, Silvano Benedetti, oggi presidente della Pro loco del golfo. Sarà il grado di contrammiraglio, ma anche lui le spara grosse. A partire dall’ammonizione a chi racconta l’Arsenale come un non-luogo. In pensione dal dicembre 2016, Benedetti non ci sta e sfodera la sua narrazione, che glissa mirabilmente questioni ambientali e minimizza il crollo occupazionale. Non è vero che in Arsenale non c’è più nulla e fa l’esempio dell’officina Artiglieria che, a suo dire, è attiva e fiore all’occhiello della struttura, tanto che in essa si eseguono i lavori di refitting, ossia di riconversione, dei cannoni 127 OTO, non solo per le unità della marina militare italiana, ma anche per conto di quella francese.
Se la città venisse a sapere che l’officina Artiglieria è in realtà la rappresentazione dello status dell’ipocrisia che aleggia sull’Arsenale? Stiamo parlando di un enorme edificio che sorge ai margini delle vasche di San Vito e la strada Napoleonica. Dell’officina qualificata che fu, che occupava centinaia di operai ed operaie con elevate competenze, oggi resta un edificio con la copertura talmente fatiscente che ci piove dentro. Stiamo parlando di una struttura di oltre 6.000 metri quadrati di superficie, con ampie porzioni interne interdette e limitate da nastro biancorosso.
Secondo fonti interne la realtà è tutt’altra. Il refitting dei cannoni 127/54 non si fa più da tempo, quel che rimane è un pugno di operai, letteralmente, che si mettono una mano sul cuore e lavorano sui pezzi 76/62 in collaborazione con Leonardo. Peraltro parrebbe che la stragrande maggioranza degli operai sopravvissuti agli annunci dei politici locali (meno di 40) non siano in grado di operare più certe lavorazioni, perché, banalmente, non in possesso delle competenze e dei percorsi formativi che consentirebbero di operare o revisionare le tecnologie di nuova generazione. E come potrebbe essere diversamente? Quelli che vanno in pensione non vengono rimpiazzati da decenni.
Negli ultimi 30 anni, la sola officina Artiglieria ha perso più della metà degli occupati. Una densità occupazionale da record mondiale: circa un lavorator* ogni 150 metri quadri. Non stiamo parlando di officine qualunque. Basti pensare che molte delle strumentazioni in uso non erano altro che utensili costruiti ad hoc dagli operai arsenalotti, maestranze con capacità e competenze pressoché scomparse. Tant’è che ciò che è rimasto sono lavorazioni sulle armi portatili, derubricando l’officina, de facto, a collaudo armeria. Senza contare che la china del declino non parrebbe modificarsi, o almeno non ci sono storicamente episodi tali da far pensare che questa tendenza cambi. Basterebbe, per esempio, aver letto il fantomatico Piano Brin, celebrato, probabilmente da chi certamente non l’ha mai letto, come lo strumento di rilancio dell’Arsenale. Peccato che così non fu.
Dunque perché non ridare le aree inutilizzate alla città? Secondo l’ex direttore del Museo Tecnico Navale la realtà non è così. Da diversi anni la Marina da la possibilità di intervenire ed agire nelle aree interne. SITEP Italia SpA, dice Benedetti, ne è un esempio. Contento lui, si direbbe. In sintesi la capacità occupazionale decresce costantemente da 80 anni, gli spazi occupati sono sempre gli stessi e si dipinge l’affitto a qualche ditta della filiera come un’apertura virtuosa. Non male come revisionismo della realtà.
Se la città venisse a sapere quello che, ne l’attuale direttore dell’Arsenale, ne l’ex direttore del Museo, non dicono. Nel giugno 2020, a Napoli, fu presentato il Piano Industriale Integrato 2020-2025 per gli Arsenali marittimi militari. In quel documento la fotografia impietosa dell’Arsenale spezzino appare assai più vicina all’indignazione di chi sta oltre il muro. Nero su bianco, le arrampicate sugli specchi di chi ha comandato (o comanda), rendono il re nudo. Beninteso che le soluzioni proposte sono nella stessa logica di Basi blu: abbandonare le criticità. accorpare ciò che resta, con l’aggiunta di privatizzare i servizi e gestirne il controllo.
Non finisce qui. L’ex direttore del Museo Tecnico Navale non perde occasione per entrare nel merito delle gallerie dell’Acquasanta, già oggetto di una sua pubblicazione. Ritorneranno alla città? Non è dato saperlo, anzi è sembrerebbe probabile che resteranno zona militare. Certo è che il paradosso delle aree militari spezzine non lo tange, così, mentre si spendono fior di quattrini per bonificare un’opera all’interno di una montagna, le bonifica a poche decine di metri dalle abitazioni sembrano al palo. Ma questo è argomento taboo anche per lui. Nessuno si guarda dal commentare ciò che pubblica la Corte dei Conti. Come, per esempio, la deliberazione 20 giugno 2022, n. 14/2022/G. Si tratta di una lunga analisi su “Le bonifiche nel settore della Difesa“, in cui emerge che i soldi stanziati per dallo Stato non sono pienamente utilizzati.
Chiusa parentesi, ritorniamo oltre il muro dell’Arsenale. Repetita iuvant: su circa 900.000 metri quadri di aree, sono occupati meno di 500 lavorator*. Le previsioni da qui ai prossimi mesi disegnano un ulteriore calo degli occupati. Così, l’Arsenale spezzino, diventa in pochi decenni un oggetto non identificato, pressoché inutilizzato e assai inquinato, dove chi contribuisce, con le proprie tasse, a pagarlo, non deve mettete becco. Non è affare dei cittadini, è della Marina militare e non si discute. Ma che noi comuni mortali non avessimo diritto di questionare su ciò che sta oltre il muro, il filo spinato e quel cartello “Zona militare”, lo sappiamo da tempo.
Quando chi rappresenta i cittadini si pone queste questioni, senza limitarsi alla classica passerella ma con l’intento di prendere visione, porre delle questioni ed aprire un’interlocuzione, cosa si sente rispondere? Riportiamo l’ultima vicenda, dei consiglieri regionali Ferruccio Sansa e Roberto Centi.
Un primo appuntamento fissato. E poi disdetto. Un secondo appuntamento fissato. E ancora disdetto. Un terzo appuntamento fissato. E disdetto per l’ennesima volta con un laconico messaggio. Cosa è successo? Insieme con Roberto Centi mesi fa avevamo concordato con l’Ammiraglio (Comandante Marittimo Nord) di visitare l’Arsenale di Spezia. Per noi consiglieri regionali era un’occasione importante per approfondire la questione degli spazi affidati alla Marina nel cuore della città. Ma alla fine tutto si è trasformato in un episodio francamente penoso. Tre appuntamenti annullati. Il punto non siamo Roberto Centi ed io. Non è averci fatto perdere tre giorni. Non sono i nostri impegni saltati perché evidentemente l’ammiraglio ritiene di avere cose più importanti da fare. Il punto è che noi venivamo come consiglieri regionali, quindi come rappresentati di un’istituzione e anche dei cittadini liguri e spezzini. Ed è un peccato che, a causa di episodi come questo, si possa anche soltanto pensare che la Marina sia indifferente e impermeabile al confronto con la città che la ospita.
Ferruccio Sansa e Roberto Centi (3 aprile 2023)
Cui prodest? Un’idea ce la stiamo facendo da tempo…