intrecci di memorie
Antifascismo Ricorrenze
Elena Macchini  

Intrecci di Memoria

Mimnésco, memoria, un’attività della mente, la facoltà di mantenere in vita il passato, con i suoi intrecci. Quante volte occorre ricercare, attraverso diversi strumenti, spunti idonei per progettare le attività per i miei alunni, una bella classe di bambini di otto anni. Durante le feste di Natele sento vicina la Giornata del Memoria, data emblema dell’ Istituto Comprensivo dove lavoro. Nei momenti di vacanza mi capita assai spesso di iniziare a fare “il mio lavoro”. Inizio a pensare, a pormi domande, a chiedermi quale sia il modo migliore per trasmettere ai bambini l’importanza di fare memoria.

Scorrendo le diverse testimonianze di sopravvissuti ai campi di sterminio nazisti mi sono imbattuta nell’intervista, ormai datata, di Mario Limentani. Rimango inizialmente colpita dal suo modo di parlare così semplice e sincero, dalla sua romanità. Ascolto Mario con attenzione, è un fiume di memoria. Ebreo originario di Venezia, arrestato a Roma il 27 dicembre 1943. Fu caricato su un vagone piombato alla stazione Triburtina e deportato inizialmente a Dachau, poi trasferito a Mauthausen ed infine a Melk. Un viaggio all’inferno e nell’inferno, dove Limentani, come molti altri, è stato deprivato di tutto. Divenne un numero, soffrì la fame e lavorò come manodopera schiava al servizio dei nazisti.

Lo ascolto con molta attenzione. Durante tutta l’intervista la sua semplicità mi trasporta da un luogo all’altro dello sterminio, tanto che pare di vederlo. Penso ai miei alunni e mi convinco che la semplicità è il modo migliore per raccontare. Limentani è un fiume in piena di parole, “la forza delle parole”. Lui certe cose le ha vissute e decide di riviverle, per far sì che la memoria di quei luoghi non sparisca, come neve al sole.

Quasi sul finire dell’intervista, Mario racconta Mauthausen, in particolare il suo “soggiorno” nella temutissima infermeria. A causa di una ferita alla gamba è costretto ad andare, qui viene curato alla meglio, è lontano dalle fatiche immani del lavoro, dalle intemperie e soprattutto con qualcosa nello stomaco; così decide di allungare il suo “soggiorno”  facendo si che la gamba non guarisca del tutto. Quando nessuno lo vede toglie la bende e si gratta la crosta, facendo di tutto per evitare di guarire in tempi brevi. Passa il medico: “altri cinque giorni”. Trucchi. Si imparano presto quando in gioco c’è la vita o la morte, trucchi non privi di pericoli, ma a Mauthausen “il gioco vale la candela”. Lo scoprono, prendono la sua matricola: avrebbero fatto rapporto e la domenica l’impiccagione. Mario esce dall’infermeria, pensando che il suo destino sia ormai segnato, ed incontra Paulino, prigioniero spagnolo.

Frastornato dalla certezza di finire sulla forca, ignora Paulino, quell’uomo a cui aveva, in altre circostanze, rubato qualche sigaretta. Lo spagnolo, vicino di baracca, lo ferma: “mi rubi le sigarette, te ne stai imboscato in infermeria e non mi degni nemmeno di un saluto?” Ma per Mario non c’è altro che un pensiero: domenica mattina lo aspetta una corda. Ma sa anche che solo Paulino avrebbe potuto salvarlo. Tornato in baracca, Mario attende il suo destino, ma arriva un’appello. Entrano le SS. Le matricole menzionate partono per Melk, uno delle decine di sottocampi di lavoro e sterminio di Mauthausen. Mario, inaspettatamente, è tra quelli. Evidentemente qualcuno, assai probabilmente quello spagnolo, fece quel che non si sarebbe aspettato. Lo salva dalla forca. Mario continua, ricorda, porta nel cuore.

Questo spagnolo l’ho cercato ma niente. Avrei pagato non so quanto a vedere questo spagnolo, questo ragazzo.

Mario Limentani
deportato e sopravvissuto al lager di Mauthausen
(ANED Roma, 2001)

Mario non ha mai più saputo nulla di Paulino, chissà che fine avrà fatto quel ragazzo.

Così, a questo punto del racconto, è la mia memoria che fa un salto indietro, alle ricerche per la giornata della Memoria dello scorso anno. A suscitare la mia curiosità fu lo striscione scritto in spagnolo sul portale di Mauthausen, ormai libero. Ecco che arriva il ricordo di Paulino, perché quello spagnolo lo “conobbi” in un documentario curato dal giornalista e scrittore spagnolo, Carlos Hernandez.

Paulino era un ex pugile professionista. Nato  il 3 gennaio 1920 in un piccolo paese della provincia di Teruel (Aragona): Segundo Espallargas Castro. Quando ci fu da scegliere la propria parte, Segundo non ebbe dubbi, e si arruolò volontario nella 162a Brigada Mixta dell’Ejército Popular de la República. Dopo la vittoria del franchismo, nel 1939, dovette abbandonare la sua terra e rifugiarsi in Francia. Trascorse nove mesi in un sorta di campo profughi in Francia dal quale ne uscì per arruolarsi, “volontariamente”, e per combattere i nazisti nelle fila dell’esercito francese. Fu ferito in combattimento, catturato e deportato nel campo di sterminio di Mauthausen, nel 1940. Oltre quelle mura, quei reticolati, divenne “Paulino” e riuscì a sopravvivere grazie alla boxe, perché per le SS era divertente assistere ai combattimenti e lui aveva la possibilità di mangiare “un po’ di più”.

Paulino divenne famoso, come può esser definibile la fama in un luogo simile. La sua fama gli consentì di aiutare i suoi  compagni, a cominciare dai suoi connazionali spagnoli, quelli della baracca 6, che strutturano la “resistenza nel campo”. Una serie di relazioni di mutuo soccorso, di mutua sopravvivenza: chi lavorava nei luoghi di amministrazione poteva scambiare i “numeri”. Mescolare i numeri talvolta consentiva di tirar fuori un compagno dalla cava. Un gioco talmente semplice quanto rischioso. Bastava, si fa per dire, mutuare la matricola di un sopravvissuto con chi non era riuscito a risalire la scala della morte, o aveva rimediato un impiego di lusso, come la cucina, o l’infermeria.

Il complesso di campi di Mauthausen fu inferiore solo ad Auschwitz – Birkenau – Monowitz, per numero di vittime, che sono stimate per 155.000, per lo più politici. Mario Limentani sopravvisse a quell’inferno e raccontò quell’esperienza, solo dopo decenni. Ritrovò alcuni sopravvissuti della baracca sei, quella degli spagnoli, ma non seppe più nulla di chi lo aiutò a salvarsi dalla morte. Anche Paulino, Segundo Espallargas Castro, sopravvisse alla prigionia del lager e si stabilì a Parigi, come tanti spagnoli non voluti dal regime fascista di Franco. Per qualche anno continuò a fare ciò che lo aiutò a sopravvivere in quell’inferno, il boxer.

Mario e Paulino non si incontrarono più, ma le loro vite furono strette inscindibilmente, in un intreccio di memoria.

Paulino, Segundo Espallargas Castro Paulino, Segundo Espallargas Castro

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L'ultimo arrivato!

Questo bellissimo saggio ci racconta come la cultura di guerra e di morte genera gli stessi mostri in tutto il Paese: pessimismo, obbedienza, passività, senso di sconfitta, conformismo, opportunismo, clientelismo. Figli di un dio minore, vittime e colpevoli allo stesso tempo dei propri mali. Politici e rappresentanti istituzionali fotocopia. Iene e sciacalli ai banchetti delle opere pubbliche e gattopardi perché cambi tutto purché non cambi nulla.

Lo scenario che ci delinea e ci offre queste pagine che seguiranno è certamente doloroso, tragico, inquietante, ma in questo suo coraggioso e generoso atto di denuncia traspare sempre lo smisurato amore per La Spezia, per il suo Golfo, il suo Mare. Pagine e immagini che feriscono il cuore ma in cui respiriamo ancora speranza ed utopia. Che un’altra città sia davvero ancora possibile, viva, libera, aperta, felice. Un laboratorio di Pace.

Antonio Mazzeo

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