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Il golfo ai poeti Libri MuratiVivi Opinioni
William Domenichini  

Potrebbe esser peggio

Marty Feldman, riesumando il cadavere che avrebbe dato il corpo a Frankenstein Jr., esclama: “potrebbe esser peggio“. Vuoi vedere che sono capaci solo di lagnarsi? Un po’ come Feldman e Wilder nei panni del dr. Frenkenstin e di Aigor? Come spesso accade c’è una scintilla che porta a riflettere e, in questo caso, analizzare. Questa scintilla la devo ad un ammiraglio in quiescenza che, alla faccia dei pregiudizi, ha sempre dimostrato nella sua carriera, intelligenza, capacità, onestà intellettuale. Spesso accade che le riflessioni più interessanti giungano quando ci si confronta con un pensiero differente. In questo caso, con chi mantiene una misura tra la realtà in cui ha prestato servizio per una vita intera e ciò che vi circonda. Non illudiamoci. Seppur vi siano innumerevoli esempi di questo tipo, visti i risultati attuali, parrebbe laconicamente che siano la minoranza. Forse, eccezioni che confermano le regole.

Che il golfo spezzino fosse preda ambita di visioni militaresche è un fatto acclarato, storico, tanto da scriverci un’intera parte di libro. Prima luogo d’incanto di poeti, romanzieri, pittori, musicisti e culturame vario di mezza Europa. Poi, grazie ad un oriundo con la spiccata arte per la guerra, il golfo che fu dei poeti assunse le tinte e le forme della piazzaforte militare.

Spezia è il più bel porto dell’universo. La rada è anche superiore a quella di Tolone, la sua difesa per terra e per mare è facile. I progetti redatti sotto l’impero, e di cui si è cominciata l’esecuzione, dimostrano che, con spese anche mediocri, gli stabilimenti sarebbero sicuri e chiusi in una piazza capace della più grande resistenza.

Napoleone Bonaparte
(Memorie della campagna d’Italia, Donzelli – 2010, p. 19.)

Restaurato l’ordine prenapoleonico, la palla è passata ai Savoia. Abbandonata l’ipotesi dell’arsenale al Varignano, ci pensò Cavour a rivoltare come un calzino il golfo. Ma spogliamoci da velleità storicistiche, moralistiche e giudicatorie. Lasciamo i quadri del Fossati appesi alle pareti e cerchiamo di mantenere un punto di vista il più pragmatico possibile e proiettato nel futuro. Perché se qualcuno vede il futuro blu, il pensiero corre ai 354 milioni di euro che sono messi a bilancio dello Stato, per adeguare i moli spezzini agli standard NATO.

Stiamo parlando di standard di un’alleanza che, a conti fatti, dal 1989 in avanti, è una fucina di elaborazioni teoretiche e strategiche sul concetto di difesa. Forse è un caso, che nei documenti programmatici pluriennali del ministero italiano, la dottrina rilevante non sia più la difesa del suolo patrio ma la tutele degli interessi nazionali. Un concetto assai più liquido e pertanto la sua applicazione spazia dalla tutela di infrastrutture critiche agli interessi di aziende che, seppur multinazionali, hanno magari sede in Italia.

C’è la guerra, quindi non si pone come soluzione il negoziato, ma armarsi ancor di più. Poi c’è la NATO, l’alleanza nata per difenderci dal pericolo bolscevico. Crollati i muri, da decenni, spariti i comunisti (resta un museo ad Arcore) l’alleanza muta in una struttura di espansione, di controllo geopolitico e militare. Le incongruenze dell’alleanza definita come “funzione deterrente di garanzia della pace in Europa”, che ha “regole e principi che trovano ancoraggio nella Carta dell’Onu” per “il diritto di tutti gli Stati all’autodifesa” sono addirittura misurabili. Serbia (1999), Afghanistan (2001), Iraq (2003), Libia (2011) sono solo alcuni interventi di un’alleanza difensiva contro paesi che non avevano attaccato alcun membro, ma che sono stati rasi al suolo.

C’è la religione del tempo, ossia l’unica ideologia che sopravvive anche nell’età post-ideologica. La sua sintesi è la privatizzazione dei ricavi e la socializzazione delle perdite. La dottrina per cui tutto è merce, salvo avere la possibilità di acquistare, determina la gestione di servizi o di beni essenziale, surroga la funzione dello Stato nelle sue specifiche competenze. Prima tappa lo Stato-azienda, che trasforma i servizi in beni di consumo, il patrimonio in voci di bilancio, i cittadini in consumatori. Poi si passa alla delega privata, pura e semplice, facendo crollare definitivamente un concetto molto semplice. Redistribuire la ricchezza. Se un tempo lo Stato si faceva carico di rendere accessibile servizi e funzioni strategiche in termini universali, oggi si pagano a privati, che in regimi monopolistici fanno affari d’oro.  Pensate che il comparto Difesa sia scevro da queste dinamiche? Sbagliato.

Tra gli asset immobiliari che Difesa Servizi S.p.A. ha in portafoglio, vi sono anche una varietà di sedimi la cui destinazione d’uso può essere oggetto di proposte completamente svincolate da quella che, in origine, era stata loro assegnata per le esigenze della Difesa, ovvero aree e fabbricati che, pur mantenendo l’attuale destinazione possono essere impiegati per attivare iniziative economiche. Prendiamo per esempio l’Arsenale spezzino.

La valorizzazione di questa importante infrastruttura non coinvolge solo i bacini di carenaggio, le darsene e le banchine scali ma anche tutte quelle aree logistiche non più di interesse operativo per la Marina Militare.

La gestione economica e la valorizzazione degli spazi acquei delle infrastrutture della Difesa sono parte integrante della mission aziendale di Difesa Servizi S.p.A., che ne promuove l’uso per iniziative private e imprenditoriali che possano generare un positivo ritorno economico – sociale per le comunità locali.

Difesa Servizi S.p.A.
(2 aprile 2022)

Ora passi far le pulci alla NATO, va bene far i conti in tasca a Difesa Servizi, ma basta dire solo dei NO! E se tingere le basi navali di blu portasse occupazione? Un tema sbandierato ai quattro venti, ma fino ad oggi, nessuno ha prodotto un documento in cui si quantifichi quante assunzioni sono previste in relazione all’upgrade di una base navale. Forse perché non ce ne sono, quindi tanto vale sbandierare un caro e vecchio ricatto, tanto per tentare di zittire chi usa un minimo di raziocinio.

Così chi si oppone ad un progetto, per quanto sciatto, mal pensato, poco organico, dispendioso e dannoso, nel tempo dell’inganno universale è presto etichettato. Ma non c’è etichetta che possa nascondere come, sull’altare di standard atlantisti, di false promesse occupazionali e di interessi corporativi, il golfo che fu dei poeti vedrà la sua pietra tombale. Dragaggi mai visti prima d’ora, nuovi moli e banchine con un tombamento a mare impressionante ed la cristallizzazione di un’area enorme, pressoché inutilizzata ed inquinata. Un bel quadro.

Quante alternative possibile vi sono a tingere una base navale di blu, senza risolvere una delle criticità presenti, anzi, andando a congelare un’immobilità ed un’inefficienza ormai cronica? Un dibattito pubblico, inteso come procedura di coinvolgimento delle realtà coinvolte in un’opera (dai cittadini alla forza armata, dalle rappresentanze sindacali alle associazioni che ne fanno richiesta), in molte realtà è uno strumento di risoluzione delle criticità. Per esempio, si potrebbe ipotizzare lo spostamento della base, sul lato levante della Darsena Duca degli Abruzzi, avendo cura di utilizzare tecnologie realmente sostenibili. Meno impatto, maggior organizzazione, meno spesa e la possibilità di convertire aree non più utili agli interessi della comunità.

Dallo stato attuale alla base tinta di blu…

Base La Spezia - Stato attuale Progetto Base blu La Spezia

… e dalla base tinta di blu ad un’ipotesi alternativa

Progetto Base blu La Spezia Ipotesi alternativa a Base blu

Quella che per molti sembrerebbe una visione sostenibile, o se preferite buon senso al limite del banale, per i soliti noti è utopia. Tant’è che ad oggi ogni ipotesi alternativa non è nemmeno vagamente considerata dalle istituzioni. La storia ci viene incontro, per dimostrare che soluzioni ben più avveniristiche ed economicamente impegnative, furono prese in considerazione.

Il generale Piero Pesaresi, nel suo “Il genio militare alla Spezia. A 150 anni dall’istituzione della Marigenimil (1861-2011)” (Moderna Edizioni, 2011), tratteggia un contesto in cui, dopo un secolo e mezzo, a dirigere il Genio militare della Marina, non sono più gli ufficiali del Genio Militare dell’Esercito ma del Genio Navale della Marina. La narrazione della conclusione di un periodo storico. Il racconto delle opere eseguite sullo specchio acqueo e sul territorio che lo contorna. Pesaresi non descrive in maniera sistematica tutti gli interventi eseguiti, ma analizza i principali: la costruzione dell’Arsenale e delle opere fortificate per la sua difesa, tra loro “saldate” dalla diga foranea, quindi le ricostruzioni dell’immediato secondo dopoguerra. Ma non mancano le sorprese.

Durante l’ultima guerra alla Spezia si voleva portare in caverna l’intero Arsenale e l’aeroporto di Cadimare, con l’entrata nel Golfo e l’uscita in mare aperto in località Monesteroli. Una cosa pensata veramente in grande, come può verificare dai documenti. Non se ne fece nulla, ovviamente. Furono realizzati invece dei grandi ricoveri in caverna per la protezione degli operai dell’Arsenale dagli attacchi aerei, che furono numerosi e micidiali. Negli anni successivi, durante la guerra fredda, quei seimila mc scavati nella roccia furono portati ad oltre 31.000 mc: vi furono ricoverate le officine dell’Arsenale, che furono mantenute in perfetta efficienza fino alla caduta del muro di Berlino.

Gen. Piero Pesaresi
(aprile 2020)

Il versante che divide il golfo dal mare aperto è già abbastanza sforacchiato. Il progresso, baby. Tra tunnel stradali e direttrici ferroviarie, i geologi non nascondono che la scomparsa delle sprugole, oltre che dall’averle tombate con l’arsenale, trova la sua ragione nell’intercettare l’apporto pluviale con i vari tunnel. Ma se la storia non fosse maestra di vita, c’è chi, per risolvere un problema, pervicacemente propone soluzioni che già hanno causato danni. Una storia che affonda le sue radici nel passato, tant’è che non mancano anche vecchie gallerie che qualcuno pensa di recuperare ad uso turistico.

Sarò un sognatore, ma Spezia ha tutte le carte in regole per poter “osare” per poter diventare un “gioiellino” turistico. Spezia deve valorizzare al massimo quello che ha, prendendo in considerazione anche il fatto che e’ una città di mare. Questa sarà una delle idee porterò avanti, perché le idee saranno le “armi” del futuro.

Marco Tarabugi, consigliere comunale
(10 Marzo 2017)

Dopo 8 anni, nulla di fatto. Salvo una consulenza della Rocksoil S.p.A., che qualcuno ricorderà come l’azienda del ministro berlusconiano, Lunardi. Ma d’altronde le epiche di certa classe dirigente si infrangono assai più velocemente che le onde sulle scogliere rocciose del Persico. I musei vengono privatizzati, progetti già predisposti per aprire intersezioni tra città e spazi militari sprofondano negli abissi, come i battelli che furono individuati come musealizzabili. Se volessimo scomodare questioni più ardite, si è perso all’orizzonte anche suggestive ed elettoralistiche trovate. Dalla fontana in mezzo al golfo, svanita tra le problematiche tecniche al tunnel subacqueo del lungo mare, evaporato in una consulenza comunicativa. Dunque che fare? Stante le dichiarazioni, la strategia comunicativa parrebbe l’unique selling proposition.

Nel 2025 potrebbero arrivare le prime risposte, dal prossimo avvio del progetto Basi Blu per l’ammodernamento della base navale ed alcune delle opere ’bandiera’ dell’amministrazione. Come per esempio il tunnel di viale Italia, opera che potrà essere sbloccata solo quando quell’area cittadina sarà svincolata dall’attuale zona rossa idrogeologica. Stiamo predisponendo un progetto definitivo per la realizzazione di uno scolmatore, l’idea è che si possa far sfociare il Lagora all’interno dell’Arsenale.

Pierluigi Peracchini, sindaco La Spezia
(21 dicembre 2024)

Dunque la domanda sorge spontanea. Se le strutture militari (e non solo), negli anni, hanno elaborato progetti da romanzi alla Fleming, anzi da far impallidire anche i bunker del Dottor, perché non considerare opzioni ben più pragmatiche? O se preferite meno onerose e socialmente assai più utili? Correva l’anno 2011, quando l’allora comandante Marina Nord, l’ammiraglio Andrea Toscano, riceveva una delegazione dei MuratiVivi, i quali presentarono la tesi di laurea in Architettura di Ludovica Marinaro: Golfezia, ancora una città invisibile. Correva l’anno 2022 quando una sequela di personalità scrivevano al ministro della Cultura, Dario Franceschini, per valorizzare e liberare beni culturali imprigionati nell’arsenale spezzino. Nessuna risposta.

Ludovica Marinaro, Golfezia, ancora una città invisibile - Planimetria

Strano destino quello di chi si oppone a scelte poco utili per la collettività, che spesso seguono percorsi di sperpero di denaro pubblico. Da una visione critica nasce un protagonismo che colma il vuoto di chi dovrebbe compiere delle scelte ed elaborare visioni. Un vuoto che significa assenza di progettualità utili alla comunità. Il modello di governance, come piace a taluni, chiede a gran voce strumenti decisionali sempre più accentrati. Il paradosso è che quando c’è da assumere decisioni, si aprono gli armadi degli alibi.

Dunque nell’intento di produrre un ulteriore mostro shellyano, varrebbe la pena che chi di dovere, si attivasse per creare le precondizioni di un nuovo orizzonte. Tradotto, sindaco, giunta e consiglio comunale, per poi continuare con parlamentari, dovrebbero avere il dovere di costruire le condizioni di un confronto. La discussione delle problematiche in essere, l’ascolto delle proposte in divenire. Fermare in tempo scelte scellerate, costruire le condizioni di cambiamento e di miglioramento dello stato reale delle cose.

Di tutto questo, quanti deputat*, senator*, consiglier* ed assessori regionali e comunali sono disposti a mettersi a disposizione per affrontare una discussione aperta? In fondo, “dal mezzo di queste tenebre una luce improvvisa mi illuminò, una luce così brillante e portentosa eppure così semplice: cambiare i poli da positivo a negativo e da negativo a positivo… si può fare!

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L'ultimo arrivato!

Questo bellissimo saggio ci racconta come la cultura di guerra e di morte genera gli stessi mostri in tutto il Paese: pessimismo, obbedienza, passività, senso di sconfitta, conformismo, opportunismo, clientelismo. Figli di un dio minore, vittime e colpevoli allo stesso tempo dei propri mali. Politici e rappresentanti istituzionali fotocopia. Iene e sciacalli ai banchetti delle opere pubbliche e gattopardi perché cambi tutto purché non cambi nulla.

Lo scenario che ci delinea e ci offre queste pagine che seguiranno è certamente doloroso, tragico, inquietante, ma in questo suo coraggioso e generoso atto di denuncia traspare sempre lo smisurato amore per La Spezia, per il suo Golfo, il suo Mare. Pagine e immagini che feriscono il cuore ma in cui respiriamo ancora speranza ed utopia. Che un’altra città sia davvero ancora possibile, viva, libera, aperta, felice. Un laboratorio di Pace.

Antonio Mazzeo

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