Gorizia fu maledetta
Opinioni Pace
William Domenichini  

Gorizia fu maledetta

Una città che, per conquistarla, costò quasi 50.000 perdite, italiani da una parte, austroungarici dall’altra, tanto che Gorizia, per chi sopravvisse, fu maledetta. Se tante furono le perdite registrate nelle fila degli italiani per conquistare la città redenta, altrettanti sloveni e croati caddero per difendere il loro suol patrio. Gorizia, ben inteso, è solo un esempio tra le tante battaglie, dall’Isonzo al solstizio, dal Piave a Vittorio Veneto, passando per il monte Grappa. Ma andiamo con ordine.

Scriveva quel tale. L’uomo, che vuole creare qualcosa di grande, ha bisogno davvero del passato? Se ne impadronisce mediante una storia monumentale. Chi, al contrario, preferisce continuare nell’abitudine e in ciò che è onorato dai tempi antichi, si cura del passato come un’antiquario. Solo chi si preoccupa del presente, chi si opprime il petto e che vuole ad ogni costo scrollarsi di dosso il peso delle atrocità passate, ha la necessità della critica. Ma attenzione. Da un malaccorto trapianto di piante non proviene niente di buono. Il critico senza necessità, l’antiquario senza misericordia, il conoscitore della grandezza senza il potere della grandezza sono spuntati come erbacce, piante estraniate al loro terreno naturale e perciò degenerate.

Così, quando arrivano date celebrative, la storia monumentale, acritica, promuove un’asfittica visione del passato. Qualcuno potrebbe dire fine a se stessa, tuttavia, visti i tempi che corrono, c’è da dubitarne. Il pensiero unico è un dogma che non va intaccato e nell’era post-moderna anche l’attività dell’antiquario supera le ideologie. In particolare quelle critiche. Così uno dei temi centrali è nuovamente il dominio nei confronti di qualcun altro. Il mezzo? La guerra.

In questa chiave tutto ciò che vi ruota è bene, tutto ciò che lo mette in discussione è da cancellare. Basta, per esempio, una nota dell’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università, per stimolare l’indignazione dell’ex presidente del consiglio regionale ligure. Ma la questione è talmente viscerale che a supporto di un eletto viene l’organizzazione giovanile che ha contribuito a renderlo tale.

Non accettiamo che nelle scuole venga imposta questa misera propaganda in una società che ci vuole inermi di fronte alle avversità e inconsapevoli di quella che è la nostra identità nazionale. In un mondo che vuole i giovani senza identità e apolidi, dove tossicodipendenza e disagio giovanile sono estremamente diffusi, è necessario che ai giovani vengano insegnati i valori di chi ha sacrificato la propria vita per la Patria. Queste campagne antipatriottiche rappresentano l’ennesima dimostrazione del mai sopito sentimento anti italiano di una sinistra che non si sente nemmeno parte della storia del proprio paese.

Azione Studentesca
(4 novembre 2024)

Quando si è sinceri democratici, è facile non accettare un’opinione diversa dalla propria, etichettarla o insultarla. Allora si argomenta con questioni lapalissiane. Non solo un ex presidente del consiglio si cimenta nell’uso di retorica nazionalista in modo beceramente ignorante. Ci si mettono anche gli studenti, o per meglio dire, l’organizzazione giovanile che lo ha sostenuto apertamente. Una miscela perfetta di ignoranza e senso del grottesco. Sembra vi siano studi clinici di rilievo sulla connessione tra le tossicodipendenze e la mancanza di amor patrio. Ma al di là dei tratti comici, o drammatici a seconda del punto di vista, conviene tornare alla storia del nostro paese.

Andando a rilegger quel tale, certamente abbiamo bisogno di storia. Un bisogno diverso dall’ozioso raffinato, nel suo giardino del sapere, evitando di guardare sdegnosamente alle nostre dure e sgraziate occorrenze e necessità. Ossia ne abbiamo bisogno per la vita, non per il comodo ritirarci, o addirittura per l’abbellimento della vita egoistica e dell’azione vile e cattiva. Solo in quanto la storia serva la vita, vogliamo servire la storia.

Come ricordare degnamente le enormi perdite umane del primo conflitto mondiale, soldati e civili. In che modo rendere omaggio alle moltitudini di mutilati che videro i restanti giorni portando il segno profondo di quella tragedia. Come celebrare i fiumi di uomini dilaniati e segnati irrimediabilmente nello spirito e nella mente dall’orrore che vissero, tale e tanto da scioccarli fino alla fine dei loro giorni. Forse esercitando una visione analitica, critica, non per liberarsi di un peso, ma per costruire un futuro in cui quegli orrori siano solo un lontano monito.

L’amor patrio che sgorga dalla carneficina del fronte italiano della prima guerra mondiale ha una genesi. L’accordo segreto firmato il 26 aprile 1915, stipulato tra il governo italiano ed i rappresentanti di Regno Unito, Francia e  Russia. Un memorandum noto come Patto di Londra. I patrioti spesso dimenticano che tale accordo fu siglato mentre l’Italia era già impegnata nella Triplice alleanza, il patto militare stipulato nel 1882 con Germania e Austria-Ungheria. Già perché l’Italia, affascinata dalla potenza bellica teutonica, pur di esser alleata con la Germania ingurgitò l’alleanza con lo storico nemico austroungarico, con il quale passò un secolo di guerre. Altrettanto facilmente saltò la barricata passando con l’Intesa, visto che accettarono pressoché tutte le mire espansionistiche italiane nell’Adriatico.

Segreto o non segreto, il memorandum implicava che l’entrata in guerra dell’Italia dovesse essere ratificata dal Parlamento, in maggioranza contrario a tale prospettiva. Così come l’opinione pubblica non trasudava amor patrio e non riteneva necessario il sacrificio dei giovani italiani. Così, da un lato, sua altezza (per modo di dire) Vittorio Emanuele III, che già affinava le sue qualità, fece tutte le pressioni possibili per evitare una personale figuraccia con il suo collega russo e inglese. Ed il Parlamento votò. Dall’altro erano mesi che ingenti somme di denaro, provenienti non a caso da Francia, Regno unito e Russia, andavano ad ingrassare alcuni media italiani, sollecitandone l’amor patrio.

Un caso clamorosamente acclarato fu quello di Benito Mussolini ed il suo Popolo d’Italia. L’ex socialista e direttore dell’Avanti vendette a buon prezzo il suo neutralismo. Cacciato dal partito socialista fomentava l’amor patrio e la necessità di liberare le terre redente dalle colonne del nuovo quotidiano, finanziato dalle potenze segretamente alleate. L’ingratitudine fu un tratto che lo segnò, come dimostrò il 10 giugno 1940.

Preparata l’opinione pubblica con l’amor patrio, stretti gli accordi per nuove conquiste per l’onor di casa Savoia e gli interessi di gruppi industriali, dopo 28 giorni dalla firma del patto segreto, i fanti italiani (ignari di tutto) passarono l’Isonzo (e non il Piave calmo e placido) il 24 maggio 1915. Ci vollero sei interminabili battaglie sulle rive isontine, più di un anno a tentare di prendere a “spallate” le posizioni austroungariche e centinaia di migliaia di dispersi, per arrivare al primo risultato. Gorizia maledetta fu conquistata, ma la realtà fu che il campo di battaglia si spostò solo di pochi chilometri più a est.

Una vita nelle trincee fangose e pestilenti del Carso, o nei cunicoli freddi e gelidi delle Dolomiti. Decimazioni e punizioni feroci eseguite da comandi inumani, avidi di gloria e di amor patrio. Assalti suicidi contro postazioni nemiche pressoché inespugnabili, per guadagnare qualche trincea, rigorosamente perduta al successivo contrattacco. Poi arrivò Kobarid, o meglio Caporetto. La sberla austrotedesca fu tale e tanta che segnò anche il nostro modo di esprimerci. Ogni qualvolta che siamo di fronte ad un disastro, è una Caporetto.

Oltre all’orrore, l’amor patrio era farcito da un tanfo, quello dell’alcol. Per dare coraggio, o meglio, per stordire i soldati da mandare all’assalto contro filo spinato e mitragliatrici, si diffuse l’abitudine, ovunque, di distribuire alcol. Una questione di nazionalità. Dalla grappa al brandy, dal rum alla vodka, a qualsiasi bevanda li inebriasse, facendo loro attenuare la pericolosità del momento, dimenticare il pericolo, cancellare la prossimità della morte. Non fu una novità, anche Sergio Leone impallinò quella consuetudine di ubriacare carne da macello.

Chi possiede più bottiglie per ubriacare i soldati e mandarli al macello, quello vince. Noi e quelli dall’altra parte del fiume abbiamo solo una cosa in comune: la puzza dell’alcol.

Aldo Giuffré

Certamente quelle dimensioni di alcolismo furono enormi. Ogni fronte era pervaso da barili di alcolici che lenivano paure e coscienze, pronte all’assalto, tanto da pensare che fu il prodromo dell’uso di sostanze stupefacenti (Pervitin, per citarne una) che qualche decennio dopo diventeranno il pane quotidiano di chi andava al massacro. Curioso. Quell’amor patrio che taluni pensano sia l’antidoto a mancanza di identità e apolidismi, contro tossicodipendenza e disagio giovanile, storicamente fu alimentato da sostanze che alteravano le coscienze dei giovani mandati al massacro. Sacrificata la propria vita per la Patria, ma dopo una sbornia.

Lo strascico della mattanza che taluni celebrano il 4 novembre come una vittoria nuota nel mare dell’ipocrisia e della menzogna. Non furono mutilati solo gli interessi espansionistici nell’Adriatico. Mutilazioni dell’anima, come quelle di giovani contadini ed operai che tornarono in preda ai deliri del cosiddetto shell-shock, molti dei quali internati, “curati” con l’elettroshock. L’epidemia di spagnola, che nelle trincee proliferò languidamente, invase il globo, mietendo un’intera generazione. Il segno indelebile di contaminazioni chimiche rese intere porzioni di territori invivibili per decenni. Senza contare l’esplosione dei nazionalismi, conseguenza di un’arbitraria interpretazione dell’autodeterminazione dei popoli, paravento di interessi economici e finanziari che, nella guerra, arricchirono le tasche di pochi, a spese delle moltitudini.

Una narrazione certamente antipatriottica, ma probabilmente riportante fonti certe, storiche. Quindi materiale che possa sostenere una visione critica. Intanto, nonostante i tentativi maldestri di metter bocca sulla drammatica storia patria, l’ex presidente del consiglio regionale ligure, Gianmarco Medusei, tocca assistere all’evolversi degli eventi. La procura spezzina ha acquisito gli atti relativi ai contratti sottoscritti con i “famosi” collaboratori.

Val la pena riproporre uno stralcio di una lettera aperta, di qualche anno fa, sulla vicenda del milite ignoto.

Il nostro milite ignoto è un giovane bracciante siciliano di vent’anni, prelevato dai carabinieri mentre fatica nel latifondo padronale, rivestito alla bell’e meglio nell’improvvisata fureria della stazione ferroviaria del suo paese, caricato a forza su una tradotta e immediatamente spedito in prima linea, sull’altopiano del Carso. La sua qualifica è: carne da cannone. Non capisce nulla non solo della guerra ma anche della lingua con la quale gli ufficiali piemontesi lo apostrofano.

Il nostro milite, nelle trincee condivise con i topi e gli altri cafoni come lui, è costretto a ubbidire senza fiatare a ordini insensati impartiti da comandi militari lontani, per i quali la sua vita vale meno di niente. Vede fucilare compagni che non se la sentono di adempiere a consegne spietate o assurde. Trascorre lunghi mesi fraternizzando segretamente con la sentinella nemica a poche centinaia di metri dalla sua buca fangosa. Non sa scrivere, altrimenti sarebbe lui, e non Emilio Lussu, a narrare l’assurdità di quel massacro che inganna i poveri, facendogli scannare altri poveri con la promessa truffaldina di ricevere, al ritorno, un pezzo di terra tutta loro. Se la guadagnano tutti, la terra, proprio come il fratello aviatore di Brecht: di lunghezza un metro e ottanta, uno e cinquanta di profondità. Non sa leggere, altrimenti saprebbe che il papa, dileggiato e attaccato duramente dai guerrafondai di tutti i fronti in conflitto, definisce quella che si sta consumando nel mattatoio europeo “ inutile strage “ senza veri vincitori, ma con trentasette milioni di morti e venti milioni tra feriti e mutilati.

Il nostro milite si stupirebbe nell’apprendere che in Italia c’è qualcuno che celebra ancora oggi quella “ vittoria “ invece di limitarsi a un silenzioso, solenne e sentito atto di contrizione. Atto che potrebbe tradursi, alla Spezia, nel rimuovere la dedicazione di una strada del centro al generale Cadorna, un ufficiale che, se fosse vissuto ai giorni nostri, sarebbe stato perseguito dal tribunale internazionale dell’Aja per crimini di guerra perpetrati contro i suoi stessi compatrioti. La città di Udine l’ha già fatto.

E se Mimmo, Salvatore o Vincenzo potesse parlare, direbbe alle ragazze e ai ragazzi di oggi di non credere mai alla guerra dei padroni. Direbbe loro che l’obbedienza non è più una virtù, ma la più subdola delle tentazioni. Direbbe ai sottoproletari delle periferie europee, ai raccoglitori di pomodori schiavi nel Tavoliere, agli adolescenti che hanno abbandonato la scuola e consegnano le pizze in motorino per quattro spiccioli:

“Fratelli, sorelle mie, fermatevi. Parlatevi. Unitevi.
Non ascoltate le parole fruste e bugiarde della guerra.
Non ascoltate neppure quelle assennate della Pace, se significano neutralità.
Ascoltate, sorelle e fratelli miei, la voce della giustizia.
La giustizia non è mai neutrale.
Ascoltate il grido dei più poveri. La voce dei profughi che camminano nella neve dentro le foreste polacche o siedono stipati nei barconi sul Mediterraneo, respinti da quelli che hanno generato le catastrofi da cui fuggono.
Istruitevi: c’è bisogno di tutta la vostra intelligenza.
Agitatevi: c’è bisogno del vostro entusiasmo.
​​Organizzatevi: c’è bisogno di tutta la vostra forza.
Disobbedite, pensate, criticate, osate.
Tutto il contrario di quello che gli ufficiali reclutatori di ieri e di oggi si aspettano da voi.
E se proprio volete onorare le mie povere spoglie, alloggiate in un gigantesco e protervo sarcofago di marmo, trafugatele e seppellitele in campagna, sotto un olmo.
Non so perché, ma è un albero che ho sempre amato”.

(16 Novembre 2021)

 


Immagine tratta da https://commons.wikimedia.org (Italian Army Historic Photogallerys: http://www.esercito.difesa.it/comunicazione/pagine/elenco-gallerie.aspx, CC BY-SA 3.0, World War 1 – Italian Army: Monte San Michele – 29th June 1916 Italian casualties after a gas attack – Caricato: 21 August 2016)

0 0 voti
Rating articolo
Sottoscrivi
Notificami
Lascia un tuo commento
Lascia un tuo commento

0 Commenti
Il più vecchio
Più recente Più votato
Inline Feedbacks
Vedi tutti i commenti
3d book display image of Il golfo ai poeti

L'ultimo arrivato!

Questo bellissimo saggio ci racconta come la cultura di guerra e di morte genera gli stessi mostri in tutto il Paese: pessimismo, obbedienza, passività, senso di sconfitta, conformismo, opportunismo, clientelismo. Figli di un dio minore, vittime e colpevoli allo stesso tempo dei propri mali. Politici e rappresentanti istituzionali fotocopia. Iene e sciacalli ai banchetti delle opere pubbliche e gattopardi perché cambi tutto purché non cambi nulla.

Lo scenario che ci delinea e ci offre queste pagine che seguiranno è certamente doloroso, tragico, inquietante, ma in questo suo coraggioso e generoso atto di denuncia traspare sempre lo smisurato amore per La Spezia, per il suo Golfo, il suo Mare. Pagine e immagini che feriscono il cuore ma in cui respiriamo ancora speranza ed utopia. Che un’altra città sia davvero ancora possibile, viva, libera, aperta, felice. Un laboratorio di Pace.

Antonio Mazzeo

ORDINALO!
0
Mi piacerebbe conoscere il tuo pensiero. Lascia un tuo commentox