Sepolcri imbiancati o blu?
Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che assomigliate a sepolcri imbiancati, o blu? Il tempo di sistemare gli ormeggi e si trainano le salme dai loro sepolcri. I corpi esanimi sono unità navali in disarmo, lasciate a marcire alle bitte della strategica base spezzina per lustri e lustri. Una storia, come tante, che raccontano il declino e il baratro in cui sprofonda una base che qualcuno avrebbe la sfrontatezza di farla divenire blu. Con un colpo di pennello.
Beninteso, che la rimozione di relitti dalla base navale spezzina è notizia che va certamente salutata con ottimismo e con gioia. Se non altro in quanto epilogo di una storia che ha i tratti ed il segno dell’inciviltà. Ma come spesso accade, quando intorno agli affari militari si sviluppano entusiasmi e la retorica straborda c’è qualcosa di non detto. Tolta la patina di entusiasmo si cerca di far venire a galla la realtà celata.
Alle bitte delle banchine spezzine restavano ormeggiati per lustri una serie di unità militari. Al molo Carboni, “a pacchetto”, si trovava (e ancora resterà) un’unità ausiliaria da trasporto (Bradano A 5357, 1.930 tonnellate in disarmo dal 2001). C’era poi la fregata missilistica (Bersagliere F 584, 2.525 tonnellate, in disarmo dal 2018) ed il pattugliatore di squadra (Artigliere F 582, 2.525 tonnellate in disarmo dal 2013). A poche decine di metri ci sono le vasche di San Vito. Come accade in tutto l’Arsenale, trasformate da luoghi di produzione a discarica. Attualmente sono occupate da una miriade di piccoli navigli (bettoline, ecc), che occupano circa 5.000 metri quadrati di specchio acque. Stanno li a marcire, e li rimarranno, occupando quasi un quarto dei circa 23.000 metri quadrati di acque che costituiscono le vasche. Intorno circondate da capannoni per lo più in disuso o in procinto di essere abbandonati.
Nella seconda Darsena, nel ventre dell’Arsenale, altre unità in disarmo. Qua e là, viene spostato un rottame galleggiante (Maestrale F 570, 3.040 tonnellate, in disarmo dal 2015), a seconda delle necessità di rappresentanza degli organismi dirigenti della Marina. Ci sono poi i sommergibili, utili da trampolino per i caprioli che, dopo esser entrati agevolmente nella strategica base, si rinfrescano in mare. Tre unità “classe Sauro” se ne stavano serenamente abbandonate alla calata Calderai, nella prima darsena. Nonostante il distintivo ottico sia pressoché irriconoscibile, si tratta del Carlo Fecia di Cossato (S 519, 1.456 tonnellate), sommergibile intitolato ad un eroe della guerra fascista e pluridecorato anche dalla Germania nazista, il cui ultimo ammainabandiera risale al 31 marzo 2005, Leonardo da Vinci (S 520, 1.461 tonnellate) in disarmo il 30 giugno 2010 ed il Guglielmo Marconi (S 521, 1.630 tonnellate) abbandonato dal 1º ottobre 2003.
Resta la banchina Lagora, che segue la foce dell’omonimo canale. In questa porzione di cimitero riposa una fregata antisommergibili (Scirocco F 573, 3.188.74 tonnellate in disarmo dal 2020).
Il tempo dice che è galantuomo ed i nodi vengono alle bitte. Così arriva alla rada del golfo (che fu) dei poeti, la nave bacino Seaway Albatros. Il curioso natante, immerso, attende le grandi manovre, nella splendida cornice dell’isola del Tino. Una volta collocate in posizione, al di sopra del ponte sommerso della Seaway Albatross, questa sarà in grado di riemergere con il proprio carico, levare le ancore e portare i cadaveri nostrani al cantiere di demolizione turco di Aliaga. Visti i precedenti…
Si respira aria di orgoglio al largo del Tino, una vena malinconica per quei relitti che furono vanto e gloria della forza armata. Secondo l’associazione graziotta, Cantiere della memoria, a cui va un menzione e ringraziamento per le immagini delle grandi manovre, reperibili sul loro profilo social, sono pure “acrobazie” nautiche. La prima è la volta del sommergibile Marconi, a cui seguiranno altri due sottomarini, il Fecia di Cossato ed il Da Vinci. Le vicende di quest’ultimo assumerebbe le tinte, o l’emblema, della cialataneria della politica, in particolare quella spezzina. Circa un’anno e mezzo fa, la vicesindaca e/o deputata, con delega al turismo e membro della commissione trasporti della Camera, on. Maria Grazia Frijia, senza batter ciglia, alla domanda, a che punto è il progetto del Museo sul sommergibile Da Vinci, rispose:
E’ nel nostro programma e negli impegni che l’amministrazione comunale si è presa. Stiamo aspettando, perché purtroppo anche con la pandemia gli altri due sommergibili erano diventati completamente inutilizzabili. Con la Marina militare siamo rimasti, diciamo, che il primo sommergibile che sarà dismesso dovrebbe essere dato alla città.
on. vicesindaca Maria Grazia Frijia
(28 settembre 2022)
Ipse dixit. Il Da Vinci andrà al macero.
Mare permettendo, o giunti dei relitti che tengono, a seconda delle avversità, la poesia fatica a trovare spazi in queste manovre. La ruggine dell’unità Artigliere, secondo poetiche visioni, è specchio del lungo vissuto sul mare, iniziato nel 1982. Insomma, un po’ come la Magnani che si teneva ben strette le sue meravigliose rughe, l’Artigliere foggerebbe il suo ossido per la sua onorata attività. O forse perché dal 2013, ossia ben 11 anni fa, galleggia inerme da una sponda all’altra della strategica base spezzina?
Qui si apre un ulteriore capitolo, che molti, tanti, evitano accuratamente di menzionare. L’impatto ambientale della Marina militare. Già perché se è vero che dai fumaioli delle unità navali esce vapore acqueo (citazione dell’ex comandante Marina Nord, ammiraglio di squadra Giorgio Lazio, per gli smemorati) sarà pur vero che lasciare ad arrugginire una ferraglia per decenni non avrà nessun impatto nell’ambiente marino. In fondo è solo un pochino di ruggine. Solo?
L’intero golfo, darsena militare inclusa, ricade nella perimetrazione di bonifica della discarica di Pitelli, inserita dal 2000 nell’elenco dei siti inquinati d’interesse nazionale ma, dal 2013, declassata a sito di interesse regionale, con un decreto firmato dall’allora ministro dell’Ambiente, Corrado Clini. Facciamo finta che chi legga conosca la vicenda di Pitelli.
Nel 2002, la regione Liguria esegue un piano di caratterizzazione dei fondali della darsena, dal quale emerge “uno stato di qualità ambientale con evidenza di inquinanti”: metalli pesanti ed elementi in tracce, composti organostannici, idrocarburi policiclici aromatici, idrocarburi pesanti e policlorobifenili. Quest’ultimi, non a caso, ampiamente citati nelle perizie sulla discarica del Campo in ferro. Ma come per Pitelli, facciamo finta che sappiate tutti di cosa si sta parlando.
Nel 2008 l’autorità militare avvia una caratterizzazione fisica, chimica e microbiologica di campioni dei fondali, come disposto dalla Regione precedentemente. Le risultanze confermano le contaminazioni, ma limitandosi a citare i valori fuori norma di metalli pesanti, come mercurio e piombo, manifestando zone in cui le concentrazioni dei contaminanti raggiungono livelli elevati (Hg > 4,5 mg/kg, Pb > 330 mg/kg).
Un quadro incompleto che non pone nessi tra causa-effetto: tale inquinamento è riconducibile alle attività della Marina militare? Il Fato vuole che le zone di maggior inquinamento siano in prossimità delle aree di attracco delle unità, o laddove sono abbandonati i relitti, alimentando l’ipotesi che le attività, o l’abbandono, dei navigli in banchina non siano propriamente compatibili con l’ambiente marino, o che nei limiti le azioni di contenimento di inquinamento siano del tutto insufficienti. Ma diciamo che l’ambiente in cui viviamo non ci desta molte preoccupazioni, e derubrichiamolo al “mugugno” ambientalista, così, tanto per far contento qualcuno. Ci restano le “palanche“.
L’AID, Agenzia Industrie Difesa diretta dal tal Nicola La Torre, pubblicò un’avviso d’asta per la vendita di 7 “galleggianti ex unità navali della Marina Militare“, facendo supporre che la forza armata ospita i relitti da anni, ma non ne è più proprietaria. Un’asta che è durata meno di una settimana, da 21 luglio 2023 al 26 dello stesso mese, per piazzare “as is, where is” i relitti e che ha fruttato 1.679.144 €. A chi? Non è dato saperlo. La trama s’infittisce perché mentre le unità sono state bandite all’asta e poi prendo il largo verso la demolizione, Marinarsen La Spezia pubblica un richiesta di offerta per “Attività di demilitarizzazione ex U.N. Scirocco“. Un atto, la richiesta di offerta, che porta la firma del direttore, quel contrammiraglio Scorsone che vede il futuro blu.
La Scirocco sarà caricata sulla Seaway Albatross? Il bando di vendita della AID non la menziona. Ma quel che lascia ancor più sbigottiti, vista l’attenzione della Marina militare all’ambiente, è il fatto che uno dei relitti, Libeccio, in procinto di esser imbarcato e portato al macero, se ne sta agli ormeggi con i motori accesi, lasciando come ultimo ricordo l’atmosfera impestata di nocività.
Molti certamente, pur di non vedere, saranno disposti ad additare queste riflessioni come il frutto di un viscerale antimilitarismo, frammischiato ad un insoddisfazione cronica, labilmente riconducibile ad un antropologica caratteristica locale. Un’ideologica avversione alla natura intrinsecamente militare della città spezzina? Lasciando il campo aperto ad ogni valutazione, purtroppo per i nostri detrattori sarà vero quel che scrisse quel tale, che probabilmente solo in un mondo di ciechi le cose saranno ciò che veramente sono. Pertanto c’è chi continuerà al alzare la cortina di retorica, a dissipare la patina di perbenismo di maniera, continuando ad alzare una voce di civiltà, in un mondo di sordi.
Oppure immergendosi davvero nella poesia, prendere in prestito un verso di un grande poeta, per giunta con l’aggravante di esser nato e cresciuto nella costa dei pirati.
[…] Una sera come tante, ed è la mia vecchia impostura
che dice: domani, domani… pur sapendo
che il nostro domani era già ieri da sempre.
La verità chiedeva assai più semplici tempre.
Ride il tranquillo despota che lo sa:
mi numera fra i suoi lungo la strada che scendo.
C’è più onore in tradire che in essere fedeli a metà.L’ultima strofa de Una sera come tante
Giovanni Giudici
(La vita in versi, 1965)