Non ci resta che dare i numeri
Forse non ci resta che dare i numeri. Stiamo parlando di soldi, tanti soldi. Sostanze frutto delle sudate tasse, trattenute in larga parte dalle tasche dei/delle lavorator* dipendenti. Basi blu, tanto per restare in tema, cuba oltre 900 milioni di euro. Si tratta di un programma finanziato con le leggi di bilancio 2017/2018 (approvate dalle maggioranze che sostennero i governo Renzi e Gentiloni). 950 milioni di euro, che solo per l’adeguamento agli standard NATO dei moli della base spezzina, costerà 354 milioni di euro.
Tuttavia, nonostante il tentativo di dipingere di sostenibilità una base militare, intorno, almeno alla Spezia, resta un panorama desolante. Tra cimiteri di relitti di natanti e la prospettiva di chiusura definitiva di un’ex fabbrica, circondata da criticità ambientali sempre più gravi, si ha una dimensione reale dello sfacelo. Senza contare come, un ufficio decentrato, come se non sapesse cosa fanno a Roma, spenda soldi pubblici per interventi che rientrano già, de facto, nella spesa generale di adeguamento dei moli. Ma dei quer pasticciaccio brutto del molo Varicella, se n’è parlato già abbastanza, senza trovar risposta. Come se la dimensione reale e concreta fosse troppo lontana dalle stanze in cui le comunità dovrebbero essere rappresentate.
“Fonti vicine alla Marina militare” stimano in alcuni miliardi, circa sette miliari di euro, la necessità finanziaria per rimettere l’Arsenale in piedi. Tralasciando che ormai le ultime officine stanno volgendo verso la chiusura, la domanda che ci si pone è se ci troviamo di fronte ad un refuso. 7 miliardi. 7.000 milioni in valuta, per riqualificare e rendere nuovamente operativo l’intero arsenale. C’è chi, giustamente, definisce tale cifra un’enormità. Forse, in un mondo che non fosse al contrario (mi perdonerà la mente sublime del gen. Vannacci) si tratterebbe semplicemente di pura follia.
Tuttavia, prima di traguardare facili conclusioni, proviamo a dare i numeri. Anzi a riportarli fedelmente rispetto a quanto relazionato dal ministro Crosetto, nel Documento programmatico pluriennale per la Difesa per il triennio 2023-2025 – (Doc. CCXII, n. 1). Nel 2023 la spesa totale del ministero della Difesa è stata pari a 27,75 miliardi € così ripartita: funzione difesa 19,56 miliardi, funzione sicurezza del territorio 7,62 miliardi, funzioni esterne 0,16 miliardi, pensioni provvisorie del personale in ausiliaria 0,41 miliardi. In termini di autorizzazione di spesa la sola “funzione difesa” ha risorse distribuite: 11,12 miliardi per il personale, 6,10 miliardi per l’investimento, 2,34 miliardi per l’esercizio.
Se l’Arsenale della Spezia abbisognerebbe di circa 7 miliardi di euro per la riqualificazione dell’ex fabbrica significherebbe che, a spanne, il ministero dovrebbe impegnare una cifra pari a 3 volte il fabbisogno per il suo esercizio corrente. S preferite un miliardo in più dell’intero importo che il dicastero destina alla totalità degli investimenti. Oppure, se volete, circa due terzi della somma annuale destinata al pagamento degli stipendi del personale, dell’intero comparto Difesa. Secondo i dati relazionati dal ministro in commissione Difesa, lo scorso , la distribuzione delle risorse è in massima parte assorbita dalle spese per il personale. Nonostante si tratti del 56,9%, tale cifra è in diminuzione negli anni (58,6 del 2022, al 62,4% del 2021 e al 67,6% del 2020).
Prima considerazione. Se la cifra fosse vera, ossia se effettivamente l’Arsenale spezzino necessiterebbe di un’investimento talmente pantagruelico per rimettersi in piedi, per quale motivo la narrazione quotidiana è diametralmente opposta? Perché si parla di un’Arsenale fiore all’occhiello della Marina militare e vanto della città? La realtà, come spesso è capitato di raccontare, è ben altra. Tra abbandoni, inquinamento, fatiscenze sprechi la storia di una ex fabbrica, che fino a 80 anni fa vedeva impiegati oltre 12.000 operai ed operaie, non esiste più. Servono davvero 7 miliardi per rimetterla in piedi? Se così fosse, il commento sulla cifra non è più sulla sua quantità, ma sulla sua opportunità. Mentre si accorpano scuole, gli ospedali vanno in pezzi, le strade sono dei colabrodo, il territorio collassa ad ogni pioggia, e via discorrendo, quale opportunità darà un’investimento che assomiglia ad una montagna in procinto di partorire un topolino?
Seconda considerazione. Se, anche solo una frazione della cifra sparata, fosse realmente messa a bilancio per recuperare l’irrecuperabile, chi ne gioverebbe? Stante le dichiarazioni degli interessati, ad oggi, gli occhi sull’Arsenale sono puntati da, come piace dire alla gente che piace stakeholder privati. Per noi umani la traduzione equivale a aziende fornitori della Marina militare, ex aziende di Stato, quotate in borsa, magari in via di acquisizione da gruppi di investimento, specializzati nell’acquisizione di società indebitate con l’emissione di obbligazioni (altro debito). Da location fieristica, a preda di fornitori abituali, l’importante è fuorviare le indagini su ciò che accade, perché se una comunità lo venisse a sapere, non sarebbe piacevole. Quindi è meglio non far sapere alla città cosa accade. Tant’è che la litania dell’occupazione sembra sparita dall’orizzonte. Non ci illudiamo, qualche cifra su presunti posti di lavoro, qua e là, non si nega a nessuno.
Terza questione. Tutti questi scenari hanno una discussione parlamentare? Parrebbe di no, almeno stante i resoconti dei lavori negli ultimi mesi. Eppure le commissioni congiunte Difesa, di Camera e Senato, hanno udito sia il capo di Stato Maggiore della Difesa, ammiraglio Cavo Dragone, sia il ministro Crosetto. Non di meno, la sen. Pucciarelli ha avuto anche l’ardire di intervenire nella discussione. Qualcuno dei miei 25 lettori penserà che avrà chiesto conto, almeno di una parte minimale delle questioni? Paradossalmente no. Non una parola a riguardo, ne sullo stato presente delle aree militari spezzine, men che meno sul suo futuro.
A noi, comuni mortali, non ci resta l’alibi di dar i numeri. Forse perché la sen. Pucciareli, per esempio, ne avrebbe a sufficienza. In ogni caso, ci attende la prossima puntata, ossia l’inaugurazione in sordina del polo nazionale della subacquea. Si appresta il Natale e occorre un degno supporto tecnico alla tradizione tellarese.
Immagine tratta da https://www.cittadellaspezia.com/