L’ipocrisia di chi sta sempre con la ragione
Viviamo in un mondo che annega in un mare, in cui l’ipocrisia di chi sta sempre con la ragione infuria. La norma è rifiutare dubbi, stigmatizzare incertezze, bandire ogni forma critica, creare spauracchi e stereotipi. Ma ciò che sembra sparire ormai è il senso di umanità.
20 mesi or sono, l’esercito russo invase i confini ucraini. Se la narrazione finisse qui, la logica conseguenza è, dato l’invasore e l’invaso, stabilire semplicemente chi è buono e chi cattivo. Insomma schierarsi con gli uni o gli altri. Per 20 mesi questo è stato il leitmotiv, non morale, ma materiale, con tonnellate di mezzi, munizioni, supporti logistici e quant’altro, fornito agli invasi. Qualcuno, dopo 20 mesi, inizia a chiedersi se è prioritario, per l’economia del proprio paese, spendere soldi per inviare armi. Sovvenzionare guerre per procura laddove, 80 anni prima, noi italiani mandavamo soldati a morire di freddo. Una dinamica che sta incrinando ulteriormente bilanci statali fragili, che erode ancor più quel poco di stato sociale che sopravvive. Almeno sventata l’opzione di un’invasione russa dell’UE, con l’arrivo delle milizie putiniane a Lisbona.
Tutto ciò che ha preceduto l’invasione russa, dalle operazioni militari ucraine nel Donbass ai crimini perpetrati nei confronti della popolazione “ribelle” al regime di Kiev, è scomparso. Così com’è scomparso un’analisi sul processo di accerchiamento della NATO nei confronti della Russia. Solo alcuni elementi, se posti in essere in una discussione per capire le ragioni del conflitto (e quindi trovare delle soluzioni per la cessazione del massacro), erano (e sono) derubricate ad etichette. Buoni o cattivi?
C’è ancora un elemento che tendenzialmente rimuoviamo dalle nostre coscienze, un pilastro dell’ipocrisia di chi sta sempre con la ragione: la menzogna. ci siamo già dimenticati delle armi chimiche di Saddam Hussein, sventolate al Palazzo di Vetro. Sono scomparse le false flag sull’uso di armi chimiche siriane. Ma soprattutto abbiamo già scordato le conseguenze di guerre al terrorismo in Afghanistan, della liberazione della Libia e degli effetti delle primavere arabe. I pozzi da cui traiamo l’acqua per vivere sono inquinati dall’espansione della cultura della guerra, quella che sostanzia un’economia predatoria e che, dal ponte di comando, determina le conflittualità funzionali agli interessi economici, in modo asimmetrico.
Si sa che il diavolo fa le pentole, ma si dimentica dei coperchi. Scoppia l’inferno in Medioriente. Cosa cambia? Il drammatico attacco di Hamas. Quindi accade un fatto, grave e lacerante, si cancella la storia di tutto ciò che è accaduto precedentemente e si giustifica tutto ed il contrario di tutto. Così, poco meno di due anni fa, la spinta autonomista ed di autodeterminazioni delle repubbliche del Donbass veniva messa in soffitta, schiacciata dalla condanna di un’invasione. Oggi la storia di un’occupazione e di una sequela infinita di privazioni e di crimini da parte di un paese, vengono cancellate dai fatti del 7 ottobre, giustificando il genocidio di una popolazione civile che vive, da generazioni, ai margini dell’umanità.
Secondo il mainstream ci sono ancora molti dubbi sulle dinamiche del bombardamento dell’ospedale al-Ahli a Gaza. Pare invece sia completamente sparito dai media il bombardamento aereo, sempre a Gaza, della scuola a Khan Younis e i colpi di artiglieria che hanno distrutto la chiesa ortodossa di San Porfirio. Così, mutatis mutandi, come a suo tempo fu la Russia ad invadere, questa volta l’invasore è Israele, ma abbiamo tutte le giustificazioni possibili, nel merito e nel metodo. Tuttavia è difficile mascherare un’invasione, anche con un bombardamento mediatico. Così la questione Gaza, prorompe nelle nostre coscienze. Se l’invasione russa fu condannata dalla corte internazionale di Giustizia, le barbarie di Gaza non passano inosservate.
Impedire l’ingresso di aiuti umanitari nella Striscia di Gaza, come previsto dalla convenzione di Ginevra costituisce un crimine e la legge non è un extra che si può applicare o no. La situazione a Gaza è un incubo. Israele deve garantire senza indugio che i civili ricevano cibo e medicine a Gaza.
Karim Khan
Procuratore capo della Corte penale internazionale
(30 ottobre 2023)
Due pesi, due misure ed il cortocircuito è all’ordine del giorno. C’è chi lo chiama doppio standard. Più pragmaticamente sembra essere l’ipocrisia di chi sta con la ragione e mai con il torto. Come il putinianesimo è divampato, se solo si tentava di ragionare sulle cause dell’invasione dell’Ucraina o di ripercorrere le tappe di un’escalation (dal golpe Euromaidan, ai fatti di Odessa, ecc.), oggi il mantra è ben peggiore. Parole come terrorismo o antisemitismo aleggiano con una facilità disarmante. Cappe o cappi che strozzano ogni forma di umanità in ragione di ben altro. D’altronde nelle narrazioni, c’è chi, come Paolo Mieli, sostiene che Gaza, dal 2005, sia libera. Bontà sua e del suo concetto di libertà, nel definire libera, la più grande prigione a cielo aperto del mondo.
Nella vituperata Palestina, non tanto diversamente da altri luoghi infernali del mondo, ormai da decenni è stata bandita la politica, con mille ed una giustificazioni, con mille ed un alibi. Ciò che avvenne, dalla stipula degli accordi di Oslo in avanti, non è stato altro che un processo di escalation di violenza, dove il macabro barometro delle classifiche della morte pende sempre dalla parte dei più disgraziati.
Le richieste di cessate il fuoco sono richieste a Israele di arrendersi a Hamas, di arrendersi al terrorismo, di arrendersi alla barbarie. Questo non accadrà. Signore e signori, la Bibbia dice che c’è un tempo per la pace e un tempo per la guerra. Questo è tempo di guerra, una guerra per un futuro comune. Oggi tracciamo una linea tra le forze della civiltà e le forze della barbarie. È tempo che tutti decidano da che parte stare. Israele si opporrà a questa forza.
Benjamin Netanyahu
Primo Ministro di Israele
(30 ottobre 2023)
Parole di un leader democratico, che da lustri guida il governo israeliano, con piglio decisamente democratico. Tant’è che, nella migliore tradizione, il 7 ottobre è stato anche il giro di boa per limare ulteriormente gli spazi democratici. Israele è stato guidato, salvo la parentesi del biennio 1999-2001, da governi di destra, sempre più radicalizzati sul piano religioso. Il 12 ottobre 2023, il parlamento israeliano, la Knesset, con la dichiarazione di stato d’assedio, ha determinato la formazione di un governo di guerra. Una deroga, per gli atti del governo, a dover essere scrutinati e votati dal parlamento per tutto il periodo bellico. Così l’opposizione a Netanyahu, è passata in un lampo da 54 parlamentari a 10, sui 120 componenti del parlamento, mentre i suoi poteri sono aumentati a tal punto da bypassare il potere legislativo.
A proposito di democrazia, nel 2006, secondo l’ONU e gli osservatori internazionali, le elezioni che si tennero nei territori palestinesi furono regolari. A Gaza furono vinte da Hamas, che con gli altri gruppi politici ad esso legati ottenne circa il 44% dei voti validi, mentre il principale partito rivale, Al-Fatah, che fino a quel momento aveva guidato i palestinesi, ottenne circa il 41%. Per una curiosa teoria dei vasi comunicanti, la radicalizzazione ultra conservatrice israeliana sembra avere un’alter ego nei territori palestinesi, quando, dal 2005 è avanzato il nazionalismo e l’oltranzismo religioso.
Mentre il rappresentante palestinese delle Nazioni Unite, Riyad Mansour, si affannava alle Nazioni Unite a raccontare la tragedia del suo popolo, esprimendo il diritto a non essere ritenuti sub-umani, la reazione di una democrazia, fatica ad essere giustificabile quando ci si rivolge ad un popolo definendoli “animali”. Peggio ancora, passa anche per le parole di un’ex ministra, democraticamente dimessasi in seguito alle polemiche sulla formazione del governo di guerra israeliano, che si esprime così sul suo account Twitter:
Cancellate tutta Gaza dalla faccia della terra. Lasciate che i mostri di Gaza volino verso la recinzione meridionale e cerchino di entrare nel territorio egiziano o moriranno e la loro morte sarà malvagia. Gaza dovrebbe essere cancellata!
Galit Distel Atbaryan
ex ministra dell’Informazione (Governo Netanyahu) ed attuale deputata
(1° novembre 2023)
Gli attacchi di Israele al campo profughi di Jabalia potrebbero costituire crimini di guerra, uno dei tanti. Un’attacco, definito dall’Alto commissariato delle Nazioni unite per i diritti umani “sproporzionato”, che avrebbe lasciato tra le maceria circa 200 morti ed almeno altrettanti feriti. Si aggiungono ad una lista infinita ed inquietante. Qualcuno si ricorderà di Shireen Abu Akleh? Il giubbotto blu, con la scritta PRESS,, le telecamere, per poter fare il suo lavoro senza diventare un bersaglio. Soldati israeliani la uccisero l’11 maggio 2022, durante un raid nel campo profughi di Jenin, una dei tanti. Quella Cisgiordania che anche oggi è sorella di Gaza, teatro di azioni militari costanti, come le 4 vittime registrate pochi giorni fa. Il confino con il Libano è una polveriera, come quello con la Siria e la situazione di Gaza è al collasso.
Philippe Lazzarini, Commissario generale dell’UNRWA, definisce scioccante la situazione palestinese, dove quasi tutti i bambini cercavano di esprimere il loro desiderio di mangiare, di bere. Una situazione mai vista in precedenza, a seguito di un conflitto. Restiamo umani? Non è da meno l’ormai ex direttore dell’ufficio newyorkese dell’Alto commissariato ONU per i diritti umani. Craig Mokhiber, in quattro pagine, rassegna le sue dimissioni. Nelle sue parole, c’è tutta la cruda fotografia del momento, tutta l’inerzia delle istituzioni, tutta l’impotenza della comunità internazionale.
Nell’immediato dobbiamo lavorare per un cessate il fuoco immediato e per la fine di una situazione di lunga data assedio di Gaza, opporsi alla pulizia etnica di Gaza, Gerusalemme e Cisgiordania (e altrove), documentare l’assalto genocida a Gaza, aiutare a portare massicci aiuti umanitari e alla ricostruzione ai palestinesi, prendersi cura dei nostri colleghi traumatizzati e le loro famiglie e combattono come un dannato per un principio approccio negli uffici politici delle Nazioni Unite.
Craig Mokhiber
Alto commissariato ONU
(28 ottobre 2023)
Foto: Avvenire