L’insostenibilità delle parole
Delle parole che appaiono come macigni, pesanti nella loro insostenibilità. Un filo inquietante legherebbe l’uso improprio, sciatto, ignorante, discutibilmente giustificabile con il politicamente scorretto, ed una visione suprematista della società in cui viviamo? Parrebbe di si. Sta di fatto che a stretto giro di posta, una nota giornalista italiana “scivola” paragonando autori di vandalismi che fino a pochi anni fa sarebbero stati destinati a classi differenziali ed il leader turingiano del neonazista AfD, per il quale la produttività degli studenti tedeschi sarebbe in discussione se non si iniziasse a ripristinare classi ad hoc, per “handicappati”. Mala tempora currunt sed peiora parantur? Si, corrono brutti tempi e se ne preparano di peggiori. Ma andiamo per gradi.
Il vento neonazista in Germania pare stia gonfiando le vele dell’oblio. Sondaggi alla mano, Alternative für Deutschland, il partito tedesco di tendenze razziste, islamofobe, antisemite, xenofobe condite da identitarismo nazionalista e da accusa di legami col neonazismo, oggi è il secondo partito teutonico, avanzando nei Lands storicamente più di sinistra. Fatta la premessa, si arriva a Björn Höcke, il leader di AfD in Turingia, ex Land della Germania Est. Insegnante prestato alla politica, il parlamentare turingiano dell’esterna destra viene definito come una delle figure più influenti nel suo partito. Björn, non nasconde le sue ambizioni di arrivare alla cancelleria tedesca e, sulla scorta della sua esperienza professionali di insegnante e sulla spinta delle sue ideologie, se ne esce, candido candido, così, in una calda giornata di mezza estate:
Tra le altre cose dobbiamo anche liberare il sistema educativo da progetti ideologici, per esempio l’inclusione, come l’approccio gender mainstream. Tutti questi sono progetti che non aiutano i nostri studenti a progredire, che non rendono i nostri figli più capaci e che non ci portano a trasformare i nostri bambini e i nostri giovani nei lavoratori qualificati del futuro e più produttivi.
Björn Höcke, MDR Thüringen (09.08.2023)
Punto 1. Ideologia. Questo termine, Dall’Alpi alle Piramidi, dal Manzanarre al Reno, assume una connotazione negativa. Ma come può essere negativo il sistema concettuale e interpretativo che costituisce la base di un movimento, di un partito o di uno Stato? Chiunque si occupi della polis ha, per definizione, una base ideologica, intesa come l’insieme di principi, valori e prassi che sostengano un modello, anche quando questo è ritenuto negativo. Curioso, che chi lancia anatemi sull’ideologia, faccia parte di un partito che di ideologia vive. Ma tralasciamo questa dissertazione. E se inclusione non avesse alcuna base ideologica ma semplicemente fosse un diritto universale? Domanda retorica e non senza qualche difficoltà di comprensione. Dunque facciamo un passo ulteriore.
Punto 2. L’ossessione gender. Pare che l’estrema destra veda gender ovunque. Uno spettro che si aggira per il mondo e che nel XXI secolo ha soppiantato, non del tutto per l’esattezza, le fobie comuniste. Non facciamo lunga, ma segnalo che nella serie Dino Dana (che seguo di riflesso alla passione dinosaura di mio figlio), non è raro vedere due dinosauri dello stesso sesso accudire la prole. Lo segnalo per i gender fobici, non si sa mai.
Punto 3. Produttività. Il concetto secondo il quale la scuola sia un ingranaggio della produzione. Non più un luogo formativo, in cui un* bambin*, un* ragazz*, un* giovane, prendono coscienza dei propri diritti e dei propri doveri, dove accrescono le loro conoscenze ed il loro spirito critico, ma una fase di costruzione della supremazia nazionale. In questo contesto post-orwelliano, se ci sono elementi che possono rallentare il processo della neoscuola, vanno messi da parte. In questa concezione, politicamente scorretta, chi è diversamente abile è un peso, una zavorra.
Ma tranquillizziamoci, il sorriso affabile di Höcke non evoca l’Aktion T4. I tempi sono cambiati, quindi si può pensare di tornare alle classi differenziali, a relegare chi è diversamente abile in un ghetto di reietti, per non rallentare chi ha delle potenzialità. Questa ideologia… ops, ci sono cascato anche io, riformulo. Questa visione distopica, irrompe su ogni pratica evoluta di educazione e di insegnamento. Perdonatemi, ma sposare un’insegnante ed essere ideologico ha delle conseguenze.
Allora torniamo sul piano pratico, lasciando stare orrori ed evocazioni di storie agghiaccianti, non perché questi non siano evocanti, anzi, ma perché ho la sensazione che ci distraggano dal punto centrale. Il pensiero avvolgente, che va dall’estrema destra all’amalgama moderato-conservatore/lievemente progressista, parte dal suprematismo occidentale per arrivare sempre al punto: produrre. Nasci, produci e crepa. Nei flussi e riflussi con un’alternanza di diritti e di sfruttamenti, ma produrre. Sarà un caso che la spinta a questa esigenza, storicamente, parte dall’estrema destra? Oggi, che la produzione non è più figlia della rivoluzione industriale ottocentesca, ma una complessa amalgama in salsa globale, la spinta nazionalista (ed i suoi derivati di xeno-islamo-omofobia, razzismo, ecc) assume i connotati di un mezzo per un fine: la discriminazione per far tornare l’occidente al suo ruolo dominante.
Se in questo processo vengono tritati bambin*, ragazz* e giovani che hanno diverse abilità, poco male, roba da politicamente corretti. Vogliamo scomodare studi, pratiche, percorsi di inclusione che dimostrano come includere significhi arricchire chi è diversamente abile tanto quanto chi è “normale”. Questo non è il mio terreno, se non di riflesso dalle mille ed una discussioni con mia moglie. Al netto di tutto ciò, ad ogni essere umano dovrebbe saltare all’orecchio un monito, Lasciar colpire il più debole di un gruppo, significa essere tutti potenziali vittime.
Ecco che lentamente, a ritroso, arriviamo alle nostre amate sponde. All’insegna del politicamente scorretto, Concita De Gregorio apostrofa così alcuni individui che danneggiano una statua per farsi un selfie:
Allora dunque ci sono questi cretini integrali, decerebrati assoluti che in un tempo non così remoto sarebbero stati alle differenziali, seguiti da un insegnante di sostegno che diceva loro vieni tesoro, sillabiamo insieme, pulisciti però prima la bocca.
Concita De Gregorio, Il valore di un selfie, Repubblica, 4 agosto 2023
Concita giornalista, scrittrice, conduttrice radiofonica e televisiva, opinionista, editorialista della Repubblica, è già direttrice dell’Unità (2008 – 2011). Insomma un curriculum lungo una vita, di penna e di intellighenzia per partorire un pensiero che anche al bar dietro l’angolo avrebbe ricevuto una colonna di pernacchi e di epiteti non particolarmente edificanti. Perché? Perdonatemi, domanda sbagliata. Nell’era del mediocremente corretto, se si commenta un atto vandalico (che di per se pare già un concetto assurdo), non ci si può limitare ad indignarsi. Val la pena superare a destra ogni steccato della decenza, a tratti della dignità umana e della civiltà. Le reazioni, vivaiddio, non si sono fatte attendere e se qualcuno avesse avuto dubbi sullo scivolone della giornalista, li ha fugati, poiché la toppa è stata anche peggio dello strappo, in una replica che ha peggiorato la situazione.
Piccola parentesi. L’ordine dei giornalisti replica con precisione. Basta? Non credo. Premesso che un errore non dovrebbe consentire la crocifissione di nessuno, tuttavia Concita De Gregorio, per il suo percorso ed il suo curriculum, non è un blogger a cui dare una tirata d’orecchi. L’ordine dei giornalisti saprà dirimere questa vicenda con la giusta fermezza? Io credo di no, sostanziando quel che penso da tempo, ossia sulla sua pressoché inutilità (e la mia conseguente scelta, a suo tempo, di non farne parte). Altra considerazione. Se lo sproloquio Degregoriano non fosse stato rilanciato a suon di Tg e di retweet, qualcuno se ne sarebbe accorto? Forse no, ma guardiamo la cosa dal suo lato positivo, ha fatto emergere un problema, e non di poco conto.
La rievocazione delle classi differenziali non è una prerogativa delle frange suprematiste tedesche, sembrerebbe dare un campo semantico a chi commette un atto vandalico che ci indigna e che basterebbe qualificarlo come “reato”, compiuto per apologizzare l’uso frenetico dei social, che accresce l’egocentrismo superlativo dei nostri tempi. Una deriva politica non è paragonabile ad una deriva comunicativa? Forse, ma ghettizzare nella prassi e nella cultura, parrebbe un concetto che abita nella porta affianco alla nostra, prima ne prendiamo coscienza, prima maturemo gli anticorpi per riuscire a risolvere questa pandemia. Qualche tempo fa, i miei venticinque lettori, raccontai la storia di Tizio. Una vicenda realmente accaduta in un ridente borgo della nostra terra.
Dunque se non iniziamo a produrre anticorpi, altro non potremmo dire che mala tempora currunt sed peiora parantur. Se vogliamo rassegnarci, basta stare a guardare. Oppure, provate anche voi a sposare un’insegnate e farvi raccontare come lavora chi ritiene l’inclusività un diritto universale. Potrebbe insegnarci qualcosa. Mi rendo conto che la seconda ipotesi scende su un piano un po’ personale. Allora riformulo. Guardate le nostre scuole, sono luoghi in cui i nostri diritti esistono più largamente che in altri settori della società, non solo perché sono praticati, ma perché li crescono e vengono trasmessi. Chi è genitore, ogni tanto, provi a dare il suo contributo perché questa linea di confine non arretri.