Le scelte le dovrebbe fare la politica
In commissione Difesa a Montecitorio è avvenuta l’ennesima audizione di un capo di Stato Maggiore della Marina. L’amm. Enrico Credendino, in una relazione che ha tratti sconsolanti, esprime un aspetto centrale, contraddetto, da decenni, dalla realtà dei fatti: le scelte le dovrebbe fare la politica. Non un elemento nuovo, anzi, una costante che emerge ne Il golfo ai poeti (No a Basi blu), poiché innumerevoli suoi predecessori hanno compiuto passaggi simili, in forma e sostanza. Le audizioni dei capi SSM si sono susseguiti in questi anni, come cosa buona e giusta, ma a differenza delle puntate precedenti, questa volta si potrebbe sintetizzare così: abbiamo bisogno di soldi.
Per fare che? Verrebbe da chiedere se qualcuno si calasse nei panni di un deputato o di una deputata. Tuttavia nel dibattito, tolti i convenevoli, non vi è traccia di inchiesta da parte dei parlamentari membri della commissioni permanente. Dunque proviamo ad addentrarci in questi passaggi, partendo dai fatti. In tutta la relazione, Credendino non ha mai nominato, per esempio, il programma Basi blu, se non a mezza bocca. Il mantra, come detto, è altro: c’è un grande piano di investimenti, ma serviranno più risorse.
Il tramonto di un’ex fabbrica
Il deficit manutentivo
Quale sia lo stato degli arsenali, in particolare quello spezzino, è noto ai più, eccenzion fatta per taluni quadri, ciechi, sordi o similari. Certamente ci sono voci che si levano e si distinguono per la incapacità di guardare alla realtà. Credendino non si nasconde dietro ad un dito e, fatta la tara alla forma dettata dal luogo e dalle circostanze, non le manda a dire:
Gli arsenali sono strutture strategiche non tanto per la Marina, ma proprio per il Paese. Nelle città in cui sono dislocati – soprattutto Taranto, Spezia, Augusta e Brindisi – sono un importante fattore di economia, ma sono afflitti da un grave debito manutentivo, hanno necessità di adeguamento tecnologico importante e hanno delle criticità (che poi riassumo alla fine) rappresentate dai vincoli degli appalti pubblici. Insomma, per realizzare un’impresa ci vogliono dai cinque ai sette anni. Un esempio, l’Accademia Navale sta rinnovando tutto il parco degli allievi, un’impresa di 60 milioni di euro che avverrà in sei anni. Bene, questi lavori dovevano iniziare nel 2001. Io sono arrivato in Accademia e mi fu detto: «Stanno per iniziare questi lavori, sarà molto complicato». I lavori sono iniziati nel 2022. Questi sono i fatti, quindi non riusciamo con questo sistema a mantenere in efficienza il parco infrastrutturale della Marina. Lo stesso vale per le basi navali che stiamo adeguando per garantire alle nuove navi di poter ormeggiare. […] Abbiamo in dotazione tremila infrastrutture con un importante debito manutentivo. Ad oggi non riusciamo a mantenere in efficienza il parco infrastrutturale.
Una fotografia impietosa, che conferma quanto le voci che si levano dai territori non siano espressione di malevoli anime antimilitariste, ma di concrete istanze di denuncia e di appello alla civiltà. In questi anni ne sono stati testimonianza realtà come i MuratiVivi o come i sindacati, alla pari dell’assenza di un elemento: le scelte le dovrebbe fare la politica.
Un passaggio, tra i tanti, che se da un lato fotografa le carenze, dall’altro apre una faglia in cui le casse (e i beni) dello Stato, ma soprattutto gli interessi dei cittadini potrebbero sprofondare irrimediabilmente: il ricorso alla finanza privata e l’accentramento dei processi senza alcun controllo a monte.
Le principali criticità della parte infrastrutturale sono i vincoli imposti dal codice degli appalti e i tempi espansi delle fasi di attraversamento dei procedimenti, come ad esempio acquisizione dei pareri e autorizzazione da parte degli enti preposti, prescrizioni dell’ANAC e la gestione del contenzioso che è molto importante. […] Prevedere un Commissario straordinario per le grandi imprese, come è stato fatto per il ponte di Genova, considerando appunto che vengono realizzate nell’interesse della sicurezza del Paese.
L’ultima spiaggia sembrerebbe quella che è stato un leitmotiv in questi anni: favorire l’ingresso di partnership private nei processi operativi (manutenzione, ammodernamento dei navigli), aprire le zone militari tout court alle rimanenti capacità e alle rimanenti esperienze del personale civile superstite, mettendole a disposizione di compagnie civili per continuare a supportare l’attività operativa militare.
Dipendenti cercasi
Secondo i dati della Difesa, i transiti dei dipendenti militari della Marina militare, ossia chi dopo la ferma decide di passare ad un ruolo civile, sono circa 2.600. Un numero doppio dispetto rispetto all’Esercito e 20 volte superiore all’Aeronautica. L’analisi che ne fa il capo di Stato maggiore della Marina è impietoso:
Il problema di queste fuoriuscite è che rimangono però a carico della Forza armata, cioè sono posti che risultano occupati dalla Forza armata anche se è gente che non c’è più. Questo, per esempio, non mi consente di arruolare 2.600 persone fintanto che questi non vanno in pensione, e questo è un gravissimo problema per noi.
Il passaggio è cruciale per comprendere realmente lo stato delle cose. La Marina perde personale di bordo, ma non perché va alla ricerca di un’occupazione nel privato. Resta a carico del ministero della Difesa. Riavvolgiamo il nastro. Secondo l’ultimo bando ufficiale l’Arsenale spezzino avrebbe beneficiato di ben 63 assunzioni. Secondo indiscrezioni, queste posizioni sarebbero state coperte da cambi di ruolo, da militare a civile. In altre parole, ad oggi i bandi che sono stati emanati avrebbero avuto il compito di fornire una via di fuga al personale militare, che è passato a ruolo civile. Una dinamiche che pesa sulle casse dello Stato e che in un colpo solo peggiora le condizioni degli organici imbarcati, senza risolvere la mancanza di personale civile.
Già, il personale civile, ossia il corpo che dovrebbe animare gli Arsenale, cuore e vanto di chiunque, ma nei fatti strutture che sono al collasso, che stanno in piedi per grazia ricevuta, e che occupano spazi enormi pressoché inutilizzati. Il quadro generale, tratteggiato da Credendino, è ancora più impietoso:
Noi dovremmo avere 9.000 unità, ne abbiamo oggi 4.700, ma siccome c’è stato il blocco del turnover stanno raggiungendo per la maggior parte tutti insieme l’età pensionabile. Al primo gennaio del 2028, considerando anche le assunzioni già previste, noi avremo un numero di 3.500 civili; quindi, un terzo di quelli che ci servono.
Nel dibattito che ne è seguito, alcune domande hanno centrato la questione del personale civile, ma le risposte hanno riguardato solamente quello militare. Le scelte le dovrebbe fare la politica.
Il polo nazionale della subacquea
Cos’è
Le scelte le dovrebbe fare la politica e quando le fa Credendino le porta all’occhiello. Come il progetto che vedrà la sua nascita il 9 giugno 2023 alla Spezia: il polo nazionale della subacquea. Non si tratta di un’iniziativa estemporanea. L’idea fu paventata da un predecessore di Credendino, l’ammiraglio De Giorgi, il quale annunciò la sua creazione. Tuttavia se De Giorgi paventava la nascita del polo all’interno dell’Arsenale spezzino, in una delle aree più degradate ed abbandonate come le vasche di San Vito, il taglio del nastro avverrà in un exclave arsenalizia: il Centro di Supporto e Sperimentazione Navale (CSSN).
Chi lo paga
Nella legge di bilancio 2023 fu approvato l’articolo 1, commi 658 e 659: Misure per la valorizzazione del settore nazionale della subacquea. Il polo della subacquea vedrà il taglio del nastro il 9 giugno 2023, sede il Centro di Supporto e Sperimentazione Navale (CSNN) alla Spezia. Una gestazione piuttosto veloce, se si tiene conto che la proposta di costituire tale polo avviene per la prima volta il 28 ottobre 2021, con la Risoluzione in commissione Difesa n°7-00746 , presentata dall’on. Rizzo (M5S) ma largamente e trasversalmente condivisa, in particolare dai deputati spezzini Gagliardi e Viviani. Data la complessità del tema si sono dedicate ben due sedure, il 30 novembre ed il 10 dicembre. La risoluzione verrà approvata il 15 dicembre 2021 (Atto n° 8/00147).
Poi, con decreto del Ministro della Difesa, adottato di concerto con il Ministro delle imprese e del made in Italy e dell’università e della ricerca scientifica, il Polo nazionale della subacquea è istituito e disciplinato. Una spesa di due milioni di euro, a decorrere dall’anno 2023, a valere sul fondo per la riallocazione di funzioni svolte presso infrastrutture in uso al Ministero della Difesa, di cui all’articolo 619 del Codice dell’ordinamento militare (D.Lgs. 66/2010).
Cosa farà
Una struttura che con grande probabilità vedrà l’assunzione di 0 dipendenti, probabilmente andando a caricare il lavoro di quelli che attualmente operano all’interno del CSSN. Tuttavia è altrettanto plausibile che il polo diventi un incubatore.
Un passaggio sostenibile dalle mosse della Difesa in questi ultimi anni e che ha visto il convegno livornese come ultima puntata strategica. Tant’è che le collaborazioni con alcune delle più importanti società italiane, molte delle quali hanno alla Spezia presidi di primo piano, è un elemento di continuità. Tra queste, si guardi il caso, Fincantieri, Leonardo, Eni e Sparkle, aziende che consentirebbero la tutela dei “corridoi strategici legati all’approvvigionamento energetico, alla connettività, alla presenza di gasdotti e di dorsali sottomarini per la trasmissione del traffico dati e che come tali devono essere sorvegliati e protetti”. Un concetto che fa tornare il pensiero al sabotaggio del gasdotto Nord Stream.
La parola alla politica, ne ha facoltà
L’ammiraglio Credendino ha fatto più volte riferimento al suo ruolo tecnico, con grande onestà intellettuale, rimarcando il suo contributo alla discussione. In un passaggio si celebra la sua limpidezza di intendimenti: “È poi chiaro che le scelte le fa la politica. Noi abbiamo il dovere, come tecnici, di rappresentare la situazione“.
Va da se, che in tutto lo spazio temporale dell’audizione, nessuno ha mai posto un accenno, neanche velato, al tema delle bonifiche delle aree militari di pertinenza della Marina militare. Eppure di criticità ce ne sono. Tanti ringraziamenti e nulla più. Ha ragione l’ammiraglio Credendino, la parola spetta alla politica. Forse l’unico errore che compie è la coniugazione nel modo, il condizionale, date le condizioni al contorno, appare d’obbligo.
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