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William Domenichini  

Sarai sempre con noi

Sarai sempre con noi. La notte tra il 25 ed il 26 luglio si sia spento, serenamente nel letto di casa sua, a pochi mesi dalla veneranda età di 99 anni, il protagonista Fulmine è oltre il ponte. Ciro se n’è andato con il garbo e la discrezione con cui ha vissuto, in punta di piedi, come se non volesse disturbare nessuno. Ha avuto una vita dura e meravigliosa, degna di essere vissuta nelle sue gioie e nelle sue asprezze, sorridendo alle avversità, mettendo un passo dietro l’altro, guardando sempre avanti, perché indietro non si torna.

Un’enorme onda di affetto ha travolto tutta la mia famiglia, ricevendo centinaia di messaggi di vicinanza, così come le tante persone che ci sono state vicine, mi hanno reso necessario e doveroso un saluto, un ricordo,, che va al di là di ciò che mio nonno è stato, diciamo pubblicamente, Questo perché porto con me la “responsabilità” di aver “violato” la tranquillità e la discrezione di un omone e della sua tranquilla vita di nonno, dandogli una “notorietà” che in fondo non ha mai cercato, ma che lo riempiva di orgoglio e di soddisfazione, sento il dovere di imprimere e condividere ciò che è stato Ciro, ed insieme Fulmine. Non nascondo che mi è costata tanta fatica scriverlo, ma anche tanta gioia nel rivivere gran parte della mia vita.

Ci siamo abbracciati per l’ultima volta la sera prima, dopo aver chiacchierato, come è capitato milioni di volte: come stanno i bambini, li porti al mare, come va il lavoro, cosa combina il governo, quando fai il vaccino. Poi queste diavolerie da cui sbucano fuori foto, video, i tuoi pronipoti che giocano, ti divertono. Tu che sorridi, mi guardi ed apostrofi il piccoletto: “L’è ‘n bel sogeto! L’è cagà e spudà me frè!” (E’ un bel soggetto, è tale e quale a mio fratello, da google translate “Italiano – Follese”). Hai bisogno di qualcosa nonno? Un bicchiere di vino. Così gliene porto due, uno per lui, uno per me. Cin cin, alla salute. Domani vado al concerto dei Gang, a Barbarasco, l’ANPI organizza una pastasciuttata per ricordare la caduta di Mussolini. Mi strizza un occhio. Bravo, divertitevi.

Non sei stato solo ciò che hai fatto e che ho raccontato, sei stato soprattutto ciò che hai dato, per come sei stato nonno.

Quando volevo restare a dormire da te, in quell’appartamento in città, la mattina successiva si partiva per il paese, io a scuola, tu in carrozzeria: colazione con latte e caffè, pane burro e marmellata, poi via a prendere l’auto parcheggiata poco distante, nella frenesia cittadina. E non appena saliti in auto: ci fermiamo a prendere un cappuccio con il bombolone? Nonno ma facciamo tardi! Al volante son come Tazio Nuvolari. Ma chi era poi sto Tazio Nuvolari, pensavo io a 10 anni. Il traffico della città ce lo lasciavamo alle spalle ed arrivavamo in perfetto orario davanti al cancello della scuola. Andava a finire che lui era molto meglio di Tazio Nuvolari.

Le estati passate in carrozzeria, a raddrizzare una portiera, un paraurti, mentre io stavo seduto sul panchetto, a carteggiare, per poi vederti tuta e mascherina infilarti in quel forno, con pistola ad aria compressa a verniciare. Pausa pranzo nel cucinino, con affianco il gallinaio, quanti fiori di zucca fritti, pomodori raccolti e mangiati, le sigarette che ti sgraffignavo dalla giaccia per fumare di nascosto. Poi arrivavano le 4 del pomeriggio, si sistemava tutto e via con il Ciao, verso il circolino. Scopone e poi a casa. Arrivò l’estate della maturità, al circolo ti canzonavano: “Gliel’hai fatto il regalo a tuo nipote?” e tu prontamente, “Certo, gli regalo un’auto“. Arrivasti il giorno dopo in carrozzeria con una 500 del ’63 che andava in moto un giorno si e quello dopo forse, e la sistemammo, insieme.

Quante volte, nelle mie scorribande, con i miei amici d’infanzia, si entrava al circolo, tra i schianti delle bocce, l’odore del vino, i lupini. La coltre di fumo si addensava ad un’altezza per noi inarrivabile, mi guardavo intorno, ed immancabilmente, ad un tavolo, con le carte in mano: scopa! Nonno! Pillo, prenditi le caramelle! E si usciva dal circolo con un pacchetto di Charms alla frutta. L’amore per la tua penna nera da alpino, le tante adunate a cui non sei mancato per lunghi anni, e quel cappello che ricomprasti, perché il tuo, quello vero, quello impresso in quella foto sulla testa di Girolamo Spezia, scattata a Borseda, pochi giorni prima quel drammatico rastrellamento dell’ ottobre ’44, in cui “Piero” venne falciato dal fuoco nazifascista. Quel cappello se l’era ingoiato un bosco, uno di quei boschi che ti hanno consentito di salvare la pelle.

Come non immaginare un sabato sera, poco dopo cena, nel vederti allo specchio, rasato ed profumato, mentre ti annodi la cravatta. Stasera dove ve ne andate a ballare? Una passione che hai seguito fin quasi 90enne, una passione che ci legò, anche questa. Ama e goditi ogni istante della tua vita, ogni errore serve a raddrizzare la rotta, le sconfitte servono ad apprezzare il sapore delle vittorie.

Studia, dicevi sempre, e tanto lo ripetevi che papà ti soprannominò “Scuola”. Il giorno che ti portai il manoscritto delle tue storie mi guardasti come se fosse uno scherzo. Voglio leggertele, perché se non ti piace cestino tutto. Aprii il plico e lessi il capitolo dell’8 settembre. Quasi non riuscii a terminarlo, tanta fu l’emozione di quel momento, alzai lo sguardo e vidi la tua commozione, nel rivivere quei fatti e ci abbracciammo. Non mi dissi null’altro e le tue storie divennero il nostro libro.

Vorrei ringraziare tutte e tutti coloro hanno espresso vicinanza alla mia famiglia, tantissime persone che hanno condiviso con noi il dolore di aver perso una persona cara, ma anche la gioia di averla conosciuto, in tanti modi. Un ringraziamento particolare don Pietro Milazzo, per la sua meravigliosa sensibilità nel cogliere i legami affettivi che ci hanno unito a Ciro ricordandolo sotto gli aspetti più belli e più cari, a Gianmarco Franchi (ANPI provinciale) per aver salutato l’ultimo partigiano follese che se n’è andato, le sezioni ANPI che hanno partecipato e quelle che non potendo hanno inviato il loro messaggio di cordoglio, a Valter Guerrieri (capogruppo ANA Follo) per il commovente saluto che ha voluto leggere a nome di tutto il gruppo degli Alpini.

Un ringraziamento a chi ha dato notizia della sua scomparsa, a Giorgio Pagano per aver dedicato a Fulmine un suo articolo, a Laura Ivani (Secolo XIX), Matteo Marcello (La Nazione), alle redazioni di Cittadellaspezia, Gazzettadellaspezia e Tele Liguria Sud, per la vicinanza e per come lo hanno raccontato. Qui vorrei custodire una rassegna stampa, così come facevo quando usciva un articolo sul nostro libro, ti portavo il giornale e tu leggevi con emozione, magari senza metterti gli occhiali, fingendo superpoteri, perché gli spegieti li portano i vecchi.

Tutto ciò che mi hai dato lo porterò con me per sempre, nulla può togliercelo, così come il tuo ultimo abbraccio, con quei tuoi occhietti azzurri che mi sorridevano, cementando tutto l’amore che mi hai trasmesso e che io ho cercato di contraccambiare con ogni respiro.

L’unico lascito che ritrovo è la responsabilità di non smettere mai di raccontarti, di raccontare ciò che hai fatto insieme ai tuoi amici d’infanzia che divennero compagni di lotta. Un impegno che assunsi tanto tempo fa, quando inizia a capire che quei sacrifici non dovevano essere stati fatti invano, e quante volte vedevo in te l’orgoglio di queste mie determinazioni.

Mi ha sempre meravigliato che la gente si sorprendesse di quanto fosse forte il nostro legame, perché per me non era null’altro che una sintonia naturale, un fatto, qualcosa che si vive e non si può spiegare. Così sei stato, così resterai sempre, con noi.

Ciao nonno.

PS: La notte che ci hai lasciato, poco dopo averti abbracciato, andammo al concerto dei Gang. Non sapevo che quello sarebbe stata l’ultima volta che i nostri sguardi si incontravano. So invece che i nostri cuori non si dissalderanno mai, e quando i fratelli Severini hanno suonato “Oltre”, senza sapere che in quel momenti ci lasciavi, le lacrime scendevano senza smettere.

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L'ultimo arrivato!

Questo bellissimo saggio ci racconta come la cultura di guerra e di morte genera gli stessi mostri in tutto il Paese: pessimismo, obbedienza, passività, senso di sconfitta, conformismo, opportunismo, clientelismo. Figli di un dio minore, vittime e colpevoli allo stesso tempo dei propri mali. Politici e rappresentanti istituzionali fotocopia. Iene e sciacalli ai banchetti delle opere pubbliche e gattopardi perché cambi tutto purché non cambi nulla.

Lo scenario che ci delinea e ci offre queste pagine che seguiranno è certamente doloroso, tragico, inquietante, ma in questo suo coraggioso e generoso atto di denuncia traspare sempre lo smisurato amore per La Spezia, per il suo Golfo, il suo Mare. Pagine e immagini che feriscono il cuore ma in cui respiriamo ancora speranza ed utopia. Che un’altra città sia davvero ancora possibile, viva, libera, aperta, felice. Un laboratorio di Pace.

Antonio Mazzeo

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