La nostra epidemia più grave si chiama fascismo
La nostra epidemia più grave si chiama fascismo perché nemmeno la peggiore fantascienza potrebbe immaginare come, nella nostra giovane Repubblica, riemergano rigurgiti revisionistici fascisti di questa portata. Va da sé che, se oggi assistiamo a queste riemersioni, occorre prendere atto della responsabilità di quella classe dirigente che troppo spesso si è ricordata dell’antifascismo il 25 aprile, ignorando, o peggio sdoganando tali fenomeni in più occasioni.
La Spezia, chiama Italia. A Sarzana, la città che nel 1921 cacciò a fucilate l’assalto delle squadracce di Amerigo Dumini, l’ex sindaco Alessio Cavarra (PD) ha presenziato al simposio in onore di un fascista della prima e ultima ora come Carlo Alberto Biggini, dando assist a riabilitazioni retoriche e falsificanti appellativi patriottici, sostanziati da elementi di malafede e ignoranza. Giusto per citarne uno.
Drammaticamente le cronache di una piccola città di provincia sono specchio del Paese, costellate da un dibattito al limite del paradosso. Ne è un esempio la proposta di ricollocare alla Spezia la statua del gerarca fascista Costanzo Ciano (consuocero di Mussolini), ad oggi conservata in un’aiuola dell’Arsenale della Marina militare. Inutile dire che il giudizio estetico sull’opera non può prescindere da ciò che essa raffigura: un sordido personaggio legato alle più ignobili nefandezze del fascismo. Perché spostarla in una piazza pubblica?
Restando in ambiente arsenalizio, ecco comparire souvenir della X MAS nel Museo Navale, struttura museale per l’appunto ospitata nella base della marina della Repubblica. Un consigliere comunale di opposizione (Massimo Lombardi), ha chiesto conto dell’opportunità che una struttura pubblica vendesse ammennicoli celebrativi di chi si macchiò di «continue e feroci azioni di rastrellamento» ai danni dei partigiani che, solitamente, si concludevano con «la cattura, le sevizie particolarmente efferate, la deportazione e l’uccisione degli arrestati», e il cui capo indiscusso fu condannato dalla Corte d’assise per collaborazionismo con i nazisti e fu figura eufemisticamente discutibile della vita repubblicana.
Un banale gesto di civiltà ha scatenato speculative indignazioni e strumentali manifestazioni di solidarietà alla Marina Militare, tirando in ballo l’onorabilità di una delle più importanti forze armate della nostra Repubblica, ignorando che l’onorabilità della Marina nulla ha a che vedere con celebrazioni di fascisti e fiancheggiatori del nazismo. Chi si è accanito contro una civile, responsabile e democratica iniziativa, ignora forse l’eroismo dell’ammiraglio Renato Mazzolani, membro della resistenza e suicida nelle carceri fasciste spezzine, nel timore di cedere alle torture dei suoi aguzzini, o l’eroismo del motorista navale Girolamo Spezia, partigiano caduto sotto il fuoco nazifascista durante il rastrellamento del 8 ottobre ’44 nella IV zona operativa ligure, dove presero parte anche gli uomini della Decima. Sono due tra i più mirabili esempi di patriottismo di marinai che, a differenza di altri, scelsero la via della disobbedienza combattendo il nazifascismo, per la Giustizia e la Libertà, perché «la mia piccola patria dietro la Linea Gotica, sa scegliersi la parte».
Basta? In occasione della Giornata della Memoria, una docente spezzina prende parola durante un consiglio comunale straordinario, presentando il lavoro dei suoi studenti: «Diciamo solo due cose come insegnanti e come scuola. Il nostro lavoro è articolato sulla ricerca della musica nei lager e la vita, se così si può dire, con particolare riferimento ad Auschwitz e al campo di Terezin dei bambini e come scuola abbiamo un diritto dovere che è quello di mantenere intatta la memoria, e quindi, anche la conoscenza. Quindi questa giornata è dedicata a tutti quelli che sono morti nei campi di concentramento: ebrei, omosessuali, rom, oppositori al regime, disabili e donne. Quindi a tutti questi va la nostra memoria e la scuola e i ragazzi, che sono splendidi perché hanno lavorato benissimo questa mattina, devono mantenere intatto il senso dell’umanità e rimandare al mittente le facili parole d’odio della politica becera di questi ultimi tempi. Grazie». Rileggete bene quelle parole, perché hanno scatenato l’inferno di indignazione della destra, che ha portato addirittura a chiedere il licenziamento dell’insegnante.
Basta? Chi non ricorda la vicenda dell’editore neofascista allontanato dal salone del libro di Torino? Ebbene editore e, naturalmente, un suo autore hanno trovato ospitalità alla Spezia, dove il sindaco, prima concede la biblioteca Beghi (intitolata al prefetto della Liberazione e sede dell’Istituto storico della Resistenza spezzina) e, dopo una sollevazione di indignazione, mette una toppa ancor più dannosa dello strappo, concedendo l’uso della mediateca regionale per la presentazione del libro “La morte della Repubblica” di Marco Mori, peraltro candidato alle europee nelle fila di Casapound.
Basta? A questo elenco di nefandezze non può mancare il tema della toponomastica. Dopo che il sindaco spezzino ha intitolato uno slargo a una figura assai discutibile e compromessa con il regime franchista, come Josemaría Escrivá de Balaguer, ecco che sbuca fuori una raccolta firme per intitolare una via, nientepopodimeno che, a Giorgio Almirante, capo indiscusso dei nostalgici missini per decenni, noto per aver apposto la firma su manifesti che minacciavano la morte dei partigiani e al “manifesto della razza”.
Tanti, troppi episodi che hanno un minimo comun denominatore, che va ben oltre lo sdoganamento della destra fascista e pone le fondamenta per la riscrittura della nostra storia, un’operazione che ha trovato in questi anni delle sponde anche nella pseudo sinistra, laddove una sorta di bon ton, di mellifluo politically correct, mescolato a una dannosa retorica antifascista, ha consentito, in primis, la percezione dell’inutilità dei valori resistenziali e, in secondo luogo, la lenta e inesorabile riscrittura della nostra storia, distorta e strumentalizzata, tanto da far apparire i partigiani dei delinquenti e i fascisti delle povere vittime.
La mia generazione ha ricevuto un testimone grave, quello di impedire che tutto ciò avvenga, quello di far sì che i sacrifici dei nostri nonni, delle loro famiglie, non sia stato vano.
Tratto da Volere la luna